Non ho mai amato l’aggettivo “creativo” per definire una professione, e in particolare la mia. La dimensione artigianale mi è molto più familiare: sposta una parola, aggiungi, togli, riscrivi, cambia un titolo. Anche l’ispirazione, il lampo, che nel mio caso corrisponde molto più prosaicamente nel trovare “la chiave” o lo “sguardo” per restituire dei contenuti attraverso le parole, avvengono soprattutto attraverso il lavoro paziente di documentazione, di ricerca, di scalette, di associazioni lessicali e semantiche. Io non so cucire, ma quando scrivo mi sento molto vicina a chi realizza camicie su misura: un bel tavolo grande, tutti gli strumenti a portata di mano, le misure, tagli, imbastisci, monti sul manichino e poi piano piano rifinisci e togli i difetti, finché quella camicia sarà bella e unica, pronta a valorizzare chi la indosserà.
Pensavo questo ieri, sulla riva di un lago, mentre leggevo un libro di esercizi di scrittura per bambini. L’autrice invitava a equilibrare fin dall’inizio libertà espressiva e vincoli all’interno dei quali esercitarla: acrostici del proprio nome, rime, anagrammi, tautogrammi…
Un business writer londinese fa scrivere ai suoi studenti testi a tema che comincino con una lettera e finiscano tassativamente con un’altra. Asserisce inoltre di aver scritto uno dei suoi libri più interessanti durante un inverno durante i lunghi tragitti in metropolitana. Per astrarsi e immergersi nella scrittura faceva propio così: cominciava e finiva un capoverso con delle lettere dell’alfabeto prestabilite.
Io stessa il primo giorno del 2005, sono riuscita a dare forma a inquietudini e progetti solo ricorrendo all’acrostico dell’alfabeto. Se fossi andata a ruota libera non avrei potuto esprimermi meglio.
Amo i brief stringenti e rigidissimi, che mi danno pochissima libertà di manovra e mi piace dare fondo a tutte le possibilità del linguaggio in quei corridoi e cortili angusti. Se il brief non ce l’ho, me lo faccio da sola. Solo con i vincoli davanti comincio a sentirmi libera.
Molto bella la prima parte del tuo post, è un percorso che conosco bene quello di formulare in tale maniera i propri pezzi, seppur non me ne renda mai conto, facendolo quasi inconsciamente.
Bello, intenso, utile. Come sempre. Un caro saluto. Gra
mi sembra che anche Croce dicesse qualcosa di molto simile sui vincoli che liberano….
bel post, bel blog, ma ti seguo da tempo e non avevo dubbi :o)