Non è che una scrittrice professionale scriva sempre. A volte coordina altri che scrivono o insegna loro a farlo, a volte progetta e basta, altre ancora revisiona e corregge quanto hanno scritto altri.
Invece in questo periodo sto scrivendo moltissimo e passo spesso ore e ore in silenzio, unicamente in compagnia delle parole.
Sono quindi più vigile e attenta nei confronti di quanto succede dentro di me mentre scrivo, di quali accorgimenti metto in atto, di quali sono i momenti più o meno felici e di cosa li condiziona.
Ieri pomeriggio è partito con un momento decisamente infelice. Un impegno tra capo e collo, per un progetto che credevo finito.
Avevo altro per la testa e l’idea di cambiare la mia tabella di marcia mi aveva messo di cattivo umore.
Come spesso faccio, ho abbordato subito il compito sgradito. Senza scaletta e senza grandi idee per la testa. Con l’unico obiettivo di sbrigarmi.
In capo a un paio d’ore mi sono invece resa conto che stavo producendo qualcosa di molto buono, e persino abbastanza originale nel contenuto.
Mi sono imbaldanzita, rasserenata e ho corso veloce e soddisfatta verso la conclusione.
Quando ho riletto il tutto stamattina ho anche capito meglio la lezione, di cui ho tutta l’intenzione di fare tesoro.
Da vera metodica, progetto tutto. Ma l’imprevisto di ieri mi ha fatto uscire dagli schemi e riscoprire quella preziosa funzione della scrittura che è “pensare” e che viene ben prima di “esprimere”.
Scrivendo senza binari da seguire, sono riuscita a spaziare e a pensare meglio, a farmi venire delle nuove idee e a organizzarle in una maniera meno scontata. Un classico, ormai vecchiotto, della scrittura professionale si intitola Thinking on paper. Devo ridarci un’occhiata.
Qualche volta, anche nella scrittura, è meglio prendere e partire.
Senza bagaglio e senza farsi troppi problemi.
E’ vero, spesso e volentieri, basta avere solo un’idea e le parole vengono da sole, seguite dall’ispirazione…
felicità
Rino, poco ispirato
Com’è preziosa questa tua riflessione. A volte certe cose si sentono, sono dentro di noi, ma vederle de-scritte da qualcuno così bene le fa emergere e le rende vere.
Grazie Luisa.
ed i tuoi errori chi li corregge? ti servirebbe un correttore di bozze o ne puoi fare a meno? “a volta” 2 riga! un bacio sei grande
gio
Gio, è che posso contare su una schiera di editor come te 🙂
Luisa
Sinceramente, impara l’arte e poi mettila da parte, spesso nella scrittura è verissimo. O scopri che già da solo fai quello che il docente di turno ti vorrebbe insegnare, per organizzarti il lavoro, o vai a braccio, e scopri che non crolla il mondo, anzi…
Anche la scrittura professionale è creativa, nel senso più sbrigliato del termine. Riscoprirlo, ogni tanto, che è in fondo quello che racconti tu, è sanissimo.
Qanto agli editor, fanno un lavoro poco riconosciuto ma delicatissimo: saper rispettare il significato dello scritto, e anche la “voce” dello scrittore, non è una prerogativa impegnativa solo dei traduttori.
Una volta mi sono trovata a considerare che, anche se in genere nessuno li sta a leggere, ma per un film esistono titoli di coda che rendono merito alla innumerevole schiera di professionisti che è indispensabile per foprnire il prodotto finito. Perché per un libro non è così? Eppure, quante sono le professionalità dell’editoria…
questo post mi è piaciuto, Luisa.
Sempre bello leggerti.
🙂
Kika
Ciao, mi piace il tuo blog
Fatti un giro anche sul mio.
Claudio
http://lanatcon.blogspot.com/
verissimo. è come se dovessi realizzare un maglione e ti trovassi tra le mani un filo da avvolgere e mentre il gomitolo prende dimensione, trovi altri fili, di altri colori, e ti vengono idee per un maglione più vivace e colorito di quello ceh doveva essere in origine.
ma se non hai dimestichezza con i punti, il dritto e il rovescio delle parole, il risultato sarà pessimo. al di là delle idee.
Mi serve come sprone a rimettermi a scrivere la tesi di dottorato. Di questo tipo di scrittura, particolarmete per le materie umanistiche, ti sei giá interessata?
Grazie.
Luisa
Se posso permettermi d’intervenire, dato che ovviamente la domanda non era diretta a me, i laboratori di scrittura italiana, che ormai sono in genere obbligatori per tutte le lauree brevi in materie umanistiche e sono chiaramente finalizzati alla acquisizione degli strumenti linguistici necessari alla stesura di una tesi o di un elaborato “formale”, si basano dichiaratamente sull’insegnamento dei principi della scrittura professionale. Quindi credo che, tutto sommato, la tecnica che indubbiamente padroneggi senza difficoltà, anche se cambia l’argomento trattato, resti sempre quella, es empre valida.
Da lettrice, magari occasionale, anche di letteratura grigia, posso dire che frasi piuttosto brevi e non involute (ho presente certi saggi del primo Tabacco, peggio di Proust!), chiarezza e tutte le altre lezioni che un bravo scrittore professionale conosce, sono sempre basilari. L’unica differenza direi è nel lessico: ma è sin scemo dirlo, che a un testo formale si richiede un italiano standard, lustrato col sidol…
🙂
Un grande in bocca al lupo per l’impegno, ovviamente. E una nota di un famoso storico inglese, Carr, secondo il quale, ci si documenta e si scrive di pari passo. Nella mia esperienza, ho costatato che è verissimo.
f.
Grazie lapardaflora per il tuo commento e incoraggiamento. Il mio grande problema é appunto quel “ci si documenta e si scrive di pari passo”: mi sono molto documentata, ho schedato e valutato fonti e diversa letteratura secondaria, il tutto ora mi sovrasta, mi confonde e mi toglie il coraggio di scrivere.
Grazie ancora,
Luisa