Mi capita di chiedermi come dilaghino certi termini che, improvvisamente, godono di una gran fortuna. Spesso non si tratta di termini sbagliati, ma generici e bruttarelli, questo sì.
Uno mi sta abbastanza ossessionando ultimamente: il verbo potenziare.
Me lo ritrovo ovunque: le schede di una casa editrice, la lettera di una banca, il sito di un’amministrazione dei beni culturali. “Le funzionalità potenziate di un sistema informativo” te le aspetti, ma “il potenziamento della fruizione dei percorsi didattici” no.
Non sono una purista e non mi fisso sulle minuzie, ma quando affidano dei testi alle mie cure è normale che esamini tutto con attenzione, perché tutto – anche queste minuzie – concorre alla definizione di uno stile e di una voce, che si vogliono il più possibile credibili e naturali.
Se mi ritrovo davanti un verbo come potenziare, mi faccio due semplici domande:
- esiste un termine più preciso? esiste quasi sempre: migliorare, estendere, rafforzare, ampliare, aumentare, incrementare…
- potrei pronunciare questa parola in una normale conversazione? la risposta è quasi sempre no, mi sentirei a disagio e un po’ ridicola, quindi la cambio.
Credo che gli uomini alle volte subiscano l’ossessione delle “manie di grandezza”.
Dovremmo imparare a potenziare il de-potenziamento delle nostre aspettative…
Già, concordo in pieno.
E per Gaber, tra tutte ricordo con grato stupore la canzone che fa così:
“ma se proprio volete, raccontategli il sogno di un’antica speranza”.
Ciao Luisa, un abbraccio.
Annalisa