Stamattina a Napoli pioveva, era giorno di festa, ma di prima mattina al Museo di Capodimonte c’era già una fila ordinata e paziente in attesa di vedere una mostra costosa, fatta di sole 18 opere.
Caravaggio, ultimo tempo, quei pochissimi anni consumati in fuga tra Napoli, la Sicilia, Malta, la spiaggia di Porto Ercole. Non era il Caravaggio chiaro o possente degli anni romani, popolato di gioventù sacra e profana, di gesti decisi, di liuti e vasi di fiori. Era invece un Caravaggio dolente e umanissimo, di morte reale, di carne vera, di dolore provato sulla pelle ed espresso con gesti teneri e disperati. Un’umanità parente di quella, tanto lontana nel tempo, di Giotti agli Scrovegni.
Dopo la sintesi audace e l’ardito volo degli angeli nelle Sette opere di misericordia, i dipinti si fanno sempre più essenziali: grandi spazi vuoti, pochi personaggi che incrociano sguardi e mani, avvicinano volti affettuosi e sgomenti.
Non dimenticherò facilmente la Madonna distesa per terra con suo bambino vegliata solo da quattro poverissimi ma attenti pastori e dalle sagome enormi del bue e l’asinello. I volti accostati di Lazzaro e la sorella, e quel corpo
appena svegliatosi, con una mano ancora a terra e l’altra verso il cielo. L’abbandono pesante del corpo bianco di Cristo appena staccato dalla colonna. La disperazione contenuta della vecchia nella decollazione del Battista.
Ho trovato bello il sito,pubblicizzato anche nella mostra di Napoli, http://www.caravaggio.rai.it dove si possono ammirare sul proprio pc una settantina di opere del Caravaggio