<
L’arte rinascimentale italiana e la fotografia, Giotto e Parigi, il Louvre e i boulevard pieni di gente, i fregi del Partenone e le corse moderne dei cavalli, un drappeggio bianco su carta azzurra che sembra un disegno di Leonardo e la tela vera e dura di un bronzetto di ballerina, una scuola di ballo dal formato orizzontale di un cassone fiorentino del ‘400.
Degas faceva incontrare tutte queste cose dipingendo tutù delicati come ali di farfalla, gruppi di ballerine stanche che sembrano boccioli di un bouquet, cappellini che stanno nella vetrina di una modista come bacche su un cespuglio.
Il meno impressionista degli impressionisti non aveva bisogno di piantare il cavalletto su una barca come Renoir, né di osservare lo stesso covone di fieno per ore e per giorni come Monet. La sua era l’impressione della vita contemporanea, colta con l’inquadratura di una foto rubata, che ferma un particolare o un gesto, che molto lascia fuori facendoci immaginare tutto intorno il ritmo della vita che scorre.
Ma una impressione solida “come l’arte dei musei”, come amerà dire Cezanne poco più tardi. E così le tre ballerine senza volto sembrano le tre Grazie di Raffaello, il gran mazzo di crisantemi preso di peso da un quadro di Brueghel il Vecchio… ma cosa ci fa la signora pensosa spinta dal pittore nell’angolo del quadro? Osserva la vita intorno a quel frammento di vita che è il quadro, senza curarsi del trionfo floreale.
Ma, a ben pensarci, nessuno osserva il pittore. Non lei, non le ballerine intente a provare mentre sistemano il loro corpo e i movimenti o si accasciano un momento avvolte in un golfino rosso, non le stiratrici solitarie avvolte in bozzoli bianchi, non la pittrice americana colta mentre legge intenta in un salone del Louvre, non le donne senza volto che si lavano e si distendono dopo una giornata di lavoro.
Il pittore misogino e amante della fotografia le cattura e le sistema nel teatro di posa della memoria, dove tutto ha dignità di esistere: una donna, un contrabbasso, un vaso di fiori. Tutti fatti della stessa materia porosa e sfilacciata del pastello a cera, tessuti in composizioni a zig-zag che seguono palcoscenici, scale a chiocciola, buche di orchestra, o si aprono verso i tetti dei palazzi parigini, tenuti insieme dalle illuminazioni cromatiche dei fiocchi turchesi, rosa e arancio delle ballerine, dagli sfondi di carte da parati di caldi interni borghesi.
E insieme al pastello, la morbidezza, la duttilità e il calore della cera, con la quale il pittore semicieco forgiava con le mani le piccole ballerine che negli ultimi vent’anni gli fanno compagnia nel suo atelier.
A perdere il contatto con l’arte il vecchio Degas non ci sta e si trova un altro materiale, un’altra tecnica, più adatti alla manualità piuttosto che alla vista.
Come il vecchio Tiziano, che spalmava il colore a olio sulla tela con le sole dita dando vita e sostanza alla passione di Cristo. O come il vecchio Matisse, che non potendo più dipingere sforbiciava immensi fogli di carta colorata.
Impressioni dalla mostra Degas classico e moderno, al Vittoriano di Roma, che ho visitato stamattina.
Consiglio inevitabile: potresti completare con la mostra su De Nittis al Chiostro del Bramante: spigliatezza, grande tecnica, respiro affine. Certo Degas è intoccabile, ma…
Mi permetto di suggerire una lettura interessante, a proposito di Degas, dell’arte, e del ritmo della vita : https://tezcatlipoca-bandw.blogspot.com/search?q=Degas
La ringrazio per il post, la seguo da un po’ di tempo…
🙂
Marina Serafini
Grazie del suggerimento!
Luisa