Leggo da Punto.com di giovedì scorso che il preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’università La Sapienza di Roma, Domenico De Masi, si è dimesso.
De Masi è quel simpaticissimo signore con occhi vispi e barba bianca che scrive libri dai titoli accattivanti L’ozio creativo, La fantasia e la concretezza, Non c’è progresso senza felicità. Libri pieni di idee condivisibili e intelligenti, a volte talmente ovvie – in senso buono – che non si capisce perché le aziende fanno esattamente e regolarmente il contrario.
Comunque, De Masi si è dimesso perché non ha abbastanza mezzi, strutture e soldi per far studiare decentemente i suoi studenti. La cosa che mi ha atterrita è stato leggere il numero degli studenti di Scienze della Comunicazione: 13.000 solo a Roma negli ultimi cinque anni. Se li moltiplico per il numero delle altre facoltà in giro per l’Italia, più i master post-universitari e i corsi di perfezionamento, arrivo a cifre da capogiro.
Il problema non è di avere locali per farli studiare oggi, ma di avere le aziende, le amministrazioni, i giornali, le televisioni dove farli lavorare domani. Che, temo, non ci saranno. Almeno per la maggior parte di loro. Peccato che nessuno onestamente glielo dica.
cara Luisa, non ci sono posti di lavoro per tutti i laureati in Scienze della comunicazione così come non ci sono mai stati posti di lavoro per tutti i laureati in Scienze politiche, Sociologia, Psicologia, ecc. ecc. E’ anche vero che molti laureati escono dall’università solo dopo aver completato la loro raccolta bollini (leggi: esami) ma senza aver acquisito nessun saper fare nel lavoro intellettuale. La responsabilità non è loro ma di chi permette ad una realtà così sgangherata e cialtrona di avere l’etichetta di “università”.
Corrado de Francesco
Gentile Luisa,
da universitario non posso che essere d’ accordo con quanto ha scritto; anche a informatica le cose non vanno meglio, negli ultimi anni (complice il 3+2), abbiamo assistito ad una invasione di matricole a cui è stato dato a intendere che con una laurea in informatica si diventa subito ricchi; contemporaneamente si è abbassato il livello dell’ insegnamento sempre grazie alla magica formula 3+2.
Risultato?
Sforniamo tantissimi operai specializzati e quasi più nessun laureato in grado di avere una mentalità aperta, di continuare a formarsi, di fare ricerca
Chi lo spiega a questi ragazzi che fra 10 o 15 rischiano di avere ancora le stesse mansioni di quando sono stati assunti?
O peggio di finire fuori mercato?
Chico
La realtà è che non ci sono già oggi, figuriamoci domani!