Ci sono parole che interessano la collettività, perché le usano tutti, sono di tutti. Altre invece che fanno parte di un lessico familiare, e hanno per ciascuno di noi una singolare risonanza, contengono una personale memoria. Ce ne sono poi di scritte, nascoste tra i libri che abbiamo in casa, ora rapidi appunti nostri, o parole vergate da qualcun altro. Se ne ritrovano tante. Capita, talvolta, che ti emozioni, quando ritrovi certe dediche antiche sulle copie che gli autori ti hanno mandato, soprattutto quelle di amici scomparsi. O di persone indimenticabili.
Comincia così la rubrica Parole in corso di Gian Luigi Beccaria sul Tuttolibri della Stampa di oggi.
Parla delle parole e della scrittura personale, familiare e privata. I biglietti, le dediche, gli inviti, le lettere, gli appunti, le ricette della nonna. Tutte quelle parole che hanno valore solo per noi, che scandiscono la nostra vita.
Io, che scrivo tante parole “pubbliche”, ho pensato al mio mondo di parole private.
Io, smemorata, che ho l’ossessione di perdere i ricordi e le emozioni se non le scrivo sulla carta o non le fisso nella memoria di un computer.
Io che ho scritto la storia delle storie della mia famiglia per non perderle e poterle trasmettere. Io che conservo tutte le lettere in una scatolona rosa fatta confezionare appositamente. Io che in viaggio scrivo ogni sera quello che ho sentito, visto, ascoltato. E sogni, messaggi email, biglietti lasciati una sera su un cuscino, discorsi seri ma sorprendenti di bambini. E messaggi SMS trascritti con cura, uno per uno, per catturare quelle parole volanti nell’etere che transitano solo per poco nella memoria del telefonino. E farli dialogo, intreccio, storia.