
Oggi Il Corriere della Sera ha regalato il volume dedicato a Caravaggio, preceduto ieri da un articolo di Mina Gregori che parlava dell’artista che all’inizio del Seicento ha inaugurato la pittura moderna. Ho intervistato molti anni fa questa bionda studiosa piccolissima, minuscola nella sua grande casa fiorentina piena di mobili neoclassici ed enormi tele seicentesche.
L’articolo si chiudeva con un rimpianto: piacevolmente meravigliata dalla presenza di tanti giovanissimi in fila per ore per vedere una mostra di Caravaggio, la Gregori avrebbe voluto mettere loro in mano un foglietto e chiedere di scrivere “perché siete qui?”.
Già, perché? Perché anch’io sono stata accompagnata fin dall’infanzia dalle immagini di Caravaggio, che ha segnato così tanti momenti importanti della mia vita?
La prima: una brutta cartolina conservata a casa con la Canestra di frutta, che mio padre aveva comprato a Milano, alla famosa mostra organizzata da Roberto Longhi nel 1958. Capivo già da piccola che quelle mele lucide, quelle foglie di vite, quei chicchi d’uva, non erano solo oggetti, ma una rappresentazione muta del trascorrere della nostra vita? Sicuramente non lo capivo, ma le immagini ci parlano al di là della razionalità e della comprensione, lavorano dentro di noi, scavano, e comunque comunicano con noi.
Quando studiavo, proponevo l’itinerario caravaggesco a Roma a tutti gli amici e i parenti. S. Maria del Popolo, S. Luigi dei Francesi, S. Agostino, il Museo di Palazzo Barberini, la Galleria Borghese. Guardavo, raccontavo e non mi stancavo mai, scoprendo ogni volta, insieme a una persona diversa, qualcosa di diverso.
Davanti alle grandi tele scure squarciate di luce ho condiviso amicizie, consolidato amori, scoperto persone poi divenutemi care. L’umanità delle storie sacre raccontate da Caravaggio, e i suoi personaggi tirati giù dalle nuvole per vivere a un angolo di strada o al tavolo di un’osteria, mi ha sempre aiutato a scoprire qualcosa della mia.

Quando sono entrata in azienda, il mio primo lavoro fu dedicato a Caravaggio. L’azienda sponsorizzava una mostra e un convegno sulle due versioni del San Giovannino e io curai il catalogo e scrissi l’introduzione a firma dell’amministratore delegato. Mi lanciai in un arditissimo paragone tra il secolo che si apriva con lo sperimentalismo di Galilei e la pittura di Caravaggio e quello che stava per chiudersi all’insegna dell’informatica. Fui incosciente e terribilmente presuntuosa, ma quel testo azzardato rimane una delle cose cose migliori che io abbia mai scritto. Quando vengo presa dalla sindrome della pagina bianca, rileggerlo mi rincuora e risveglia le idee addormentate.
Il mio rifugio segreto rimane però la prima cappella a sinistra nella chiesa di S. Agostino. Quando il sabato mattina faccio la mia passeggiata nel centro di Roma, spesso preda di un raptus di shopping selvaggio, non posso fare a meno di salire di corsa le scale della chiesa e infilare la moneta per illuminare la Madonna dei Pellegrini. Appoggiata allo stipite di una porta (la modella fu del resto una famosa cortigiana), leggera sulle punte dei piedi scalzi, fasciata dal vestito rosso, protende muta il collo verso i pellegrini, anche loro scalzi, provati, affaticati dal cammino della vita, ma desiderosi di speranza, di pace e di paradiso. Proprio come noi.
E’ verissimo! Non ci avevo mai pensato….stesse sensazioni e stesso itinerario….anche se “le mie” immagini sono diverse. Ho letto oggi quello che io stessa provo per l’opera del Caravaggio e che non sono mai riuscita ad esprimere!!!Grazie per il prezioso input
raffaella
Pinacoteca dei Musei Vaticani, S. Luigi dei Francesi, Galleria Borghese, S. Maria del Popolo: questo è stato il mio itinerario di qualche settimana fa.
E quando mi allontanavo dalle tavole, dopo averle osservate a lungo, c’era qualcosa che mi tratteneva, e dovevo ritornare indietro.
Buongiorno Luisa, mi sono imbattuto nel tuo blog che trovo interessantissimo, così come il tuo sito, ti volevo solo dire che ti ho linkato nel mio blog. Grazie per le preziose info. Saluti
Il mio percorso è invece molto più breve: Museo di Capodimonte (La flagellazione di Cristo) e il Pio Monte di Misericordia (Le sette opere di Misericordia), entrambe le opere assolutamente meravigliose. Nella caotica giungla napoletana, due radure di pace e bellezza.
Ottimo post. Saluti. Clio
Adoro Caravaggio ed ho il suddetto volume qui davanti. Mi chiedevo come mai la definizione di *fanatico* per S. Carlo Borromeo. La Chiesa di fanatici ne ha avuti (e chi lo nega), ma lui non lo è stato di sicuro. Come dicono a Milano: ofelè, fà el to mestè.