
A fine gennaio su Slate è apparso l’articolo Will we use commas in the future? Maybe è la laconica e pilatesca risposta del sottotitolo.
“I social media massacrano la lingua!”. “Macché, anzi ora scriviamo molto di più!”
Comunque la si pensi, è un fatto che le questioni linguistiche sembrano appassionare più che mai. Le testate online come Slate ne tirano fuori una almeno ogni due mesi: questa della virgola che sparisce o quella del punto altezzoso e scoraggiante. I libri su come si parla e si scrive sono un successo assicurato. La nostra Accademia della Crusca, mentre scrivo, ha raggiunto i 12.500 follower su Twitter.
A me questa cosa della virgola che sparisce fa un po’ ridere. Sì, perché mi sembra che più farsi leggere diventa difficile, più i testi diventano brevi, più gli strumenti di comunicazione si moltiplicano, più sono gli attrezzi e le competenze che ci servono.
Il testo breve – che sia un titolo o un tweet – ha un disperato bisogno di tutti i segni interpuntivi e non solo per la chiarezza, ma proprio per l’espressività e il respiro.
Un post su Facebook è soprattutto una bella didascalia, che vive della complementarità dell’immagine, che sia un video, una foto o un’illustrazione. E dove studiamo questo dialogo tra testo e immagine se non nella storia dell’arte o nel miglior design editoriale?
Quanto ai testi più lunghi, non è niente vero che non si leggono. Si leggono, eccome, se sono di qualità. Che non significa solo qualità del contenuto, ma anche dello stile. Si leggono, se la sintassi è così fluida e piacevole da condurci di periodo in periodo senza fatica. Se le parole sono precise ma sanno riecheggiarsi in un efficace gioco di rimandi. Se, insomma, si riesce a creare quella che mi piace chiamare “la staffetta tra le frasi”. Ognuna consegna qualcosa a quella seguente: una stessa parola, un concetto, una sospensione, una domanda, una curiosità, un ritmo, un suono. Sono soprattutto le figure retoriche a insegnarci come creare nei testi questi schemi riconoscibili ma sempre diversi. Cose antiche e attualissime, che troviamo anche nelle 140 battute di un tweet.
Quanto alla molteplicità degli strumenti di comunicazione – alcuni assolutamente informali – ci impone un’attenzione sempre maggiore ai “registri” comunicativi. È fondamentale saper passare dall’uno all’altro, a seconda del tema, dell’interlocutore, dello strumento, della situazione. Nel suo blog Terminologia Licia Corbolante ha scritto un interessantissimo post su come molti studenti si rivolgono a lei per chiedere “dritte” e consigli per la tesi: spesso nella maniera meno appropriata per ricevere un aiuto.
Less needs more è il mio nuovo motto, così come un po’ di sano ritorno al classici. “Rem tene, verba sequentur” mi ha soccorso di fronte al foglio bianco ieri mattina tanto da costringere il mio cliente a raccontarmi tutto ma proprio tutto, anche quello che pensava di non sapere. “Nulla dies sine linea” è il mantra di oggi: scrivere questo post mi ha ormai preparata alle tante pagine che mi aspettano di qui a stasera.
Cara Luisa,
il tuo blog è una fonte preziosa di citazioni (dal “Festina lenta” a “Rem tene, verba sequentur”) che io utilizzerò per i miei prossimi tatuaggi 🙂
Che piacere leggerti 🙂
Super d’accordo. Il mio commento non è bello linguisticamente, ma rende l’idea (*_))
[…] qualche post fa accennavo a quante situazioni comunicative diverse ci troviamo ad affrontare rispetto al passato, […]
[…] ringrazio Luisa Carrada che me lo ha fatto […]