Precious è un film meraviglioso, dall’inizio alla fine, ma il momento più intenso arriva quando l’insegnante mette in mano a Precious – nera, obesa, povera, sola, abusata, due volte madre a sedici anni – uno spesso quaderno nero.
Ci dovrà scrivere qualcosa ogni giorno, per forza, anche se non sa praticamente scrivere, anche se non ne ha voglia e non ne vede l’utilità. La dolce insegnante in questo è inflessibile con tutte le sue studentesse. Scrivere di sé, di quello che si vede, si desidera, si sogna. Mettere una parola dietro l’altra, anche se è faticosissimo. Ogni giorno, e non c’è pianto e opposizione che tenga. Altrimenti dovranno lasciare la scuola, l’unica disposta a dare loro una possibilità.
Quel quaderno è lo snodo tra una vita e un’altra. Precious lo porta sempre con sé, lo mette nello zainetto rosa shocking – così piccolo sulla sua mole immensa –, lo porta persino in ospedale quando nasce il suo secondo bambino.
Quando torna in classe, legge a voce alta come immagina la sua nuova vita. E alla fine, nel drammatico colloquio con la madre e l’assistente sociale, quelle parole vengono fuori. Fluide, potenti, sicure. E cambiano per sempre un destino.