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risali negli anni

27 Agosto 2005

Detto in tivvù

Il linguaggio dei giornalisti televisivi a volte ti fa rabbia, a volte ridere.
Ti fa rabbia quando senti dire homeless o embedded, come se tutti sapessero l’inglese. Quando senti l’aggettivo e la tua mente ha già pronto il sostantivo tanto l’abbinamento è scontato. Quando al posto di un ente si cita una sigla incomprensibile.
Ti diverte quando il giornalista ha poco da dire e allora si dà al “pezzo di colore”, dove il colore sta spesso per aggettivazione debordante, giochini di parole banali, metafore già sentite.

Che il linguaggio sia soprattutto servizio al pubblico e non valvola di sfogo per gli aneliti creativi dei giornalisti lo ricorda un libro semplice, ma intelligente, che ho comprato stamattina: Lo scottante problema delle caldarroste. Piccolo vademecum per giornalisti televisivi (e non) di Massimo Loche, vicedirettore di Rainews 24.

Loche scorre i pochi manuali per i giornalisti radiotelevisivi italiani e, ispirandosi anche al celebre manuale di stile della BBC, propone i suoi sensati consigli ai colleghi: grammatica, sintassi, punteggiatura, stile, lessico, parole straniere, più la “fiera delle parole” inutili o abusate. Molte cose sembrano scontate, ma l’autore evidentemente conosce bene i suoi polli.

Il libro è pacato e molto divertente, soprattutto nella sezione in cui analizza i “testi non esemplari”, piccole lezioni pratiche utili davvero a tutti, visto che i vizi del linguaggio televisivo fanno molto presto a diventare anche i nostri.

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7 risposte a “Detto in tivvù”

  1. Spero che lo adottino come manuale. E che contenga anche l’ovvio (ma purtroppo necessario) consiglio di informarsi sulla pronuncia delle parole straniere prima di parlare in pubblico.

  2. E della pronuncia delle parole italiane chi si preoccupa più? Le “e” e le “o” aperte e chiuse?

  3. Il tuo stile, il piglio con cui affronti gli argomenti, e la passione che ti move mi ricordano tanto una persona scomparsa, sempre stimata e purtroppo mai conosciuta: Grazia Cherchi

  4. Sono pienamente d’accordo!

    Propongo di fornire ai giornalisti un consulente “del popolo”, che non abbia frequentato oltre le medie inferiori.

    Il giornalista dovra’ consultarsi prima con esso, e in caso di comprensione del testo, sara’ autorizzato a presentarsi al pubblico.

  5. Almeno il servizio pubblico dovrebbe ricordarsi di una pubblicazione dell’EIAR, antesignana della Rai, sulla corretta pronunzia (all’epoca si scriveva così) ad uso dei cronisti. Lo recupero e te lo segnalerò domani.
    Arnaldo

  6. Ecco qua: Giulio Bertoni, Francesco R. Ugolini. Prontuario di pronunzia edi ortografia. E.I.A.R., 1939 – XVII . Arnaldo

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