Tra una corsa e l’altra, sono riuscita a finire di leggere un paio di libri che mi trascinavo nello zaino da almeno un mese. Libri esili, ma densi, che mi sono piaciuti molto e che mi hanno fatto pensare. Cosa ormai sempre più rara.
Parole di carta e di web, di Franco Carlini, che ho condiviso fino all’ultima riga, anche nelle autocritiche e nei ripensamenti che, dopo dieci anni di convivenza con il web, sono anche i miei.
“Già, ma quale web…?” si chiede l’autore nell’ultimo capitolo. Cito testualmente:
- siti che invitino a una navigazione lenta e non frenetica; pagine leggere e ariose, con layout non tradizionale né troppo ovvio, in ogni caso esteticamente curate con grande affetto
- una rinnovata attenzione al testo, prendendo atto che la multimedialità spinta non è sempre un valore e in ogni caso che la possibile fusione di parole e immagini, auspicata nel precedente Lo stile del Web, spesso è impossibile e talora nemmeno auspicabile – dipende dai contenuti e dai contesti
- si aggiunga il rifiuto di spezzettare i testi a tutti i costi, riducendoli a riassunti di riassunti di lanci di agenzia, e si spinga invece per testi ben pensati e meglio scritti, riletti e corretti come si conviene: professionali insomma, senza che necessariamente siano affidati a dei professionisti.
Ho sorriso e sottolineato. Mi sono piaciuti soprattutto la parola “affetto” (ma potrei aggiungere la parola “passione”… senza la quale né questo blog, né il MdS, né amicizie preziose, né mille altre bellissime cose che mi appartengono oggi esisterebbero) e quel sognato ma “impossibile stile del web”.
Tornavo in metropolitana da una lezione universitaria, dove il titolo della mia ultima slide era “lo stile del web… non esiste”, indispensabile conclusione per una classe di studenti aspiranti comunicatori desiderosi di regole, certezze e verità che nessuna lezione e nessun libro potrà dare loro, se non sapranno cercarli e trovarli da soli.
L’altro libro è Le vie del senso di Annamaria Testa, prezioso per l’introduzione – così poco rituale e così sentita – di Tullio De Mauro e per le decine di variazioni di una frase semplice e quotidiana come “bella giornata, oggi”.
Tre parole da smontare, rimontare, spostare, colorare, accostare a immagini, sottolinare, dissacrare. Per imparare, anche qui, a fare da soli.
Il libro della Testa mi è piaciuto anche perché vi ho ritrovato la fatica e il piacere – ma così leggero in lei – di raccontare ad altri dall’interno il proprio lavoro. Ma la capisco: i primi ad imparare siamo proprio noi mentre raccontiamo.
Bella giornata, oggi.
Bello tornare a scrivere, oggi.