Ho appena iniziato il nuovo romanzo di Paul Auster, La notte dell’oracolo.
Per tutti i fanatici della cancelleria, per chi ama i rituali della scrittura, per chi pensa di aver bisogno di un quaderno nuovo per scrivere nuove parole, ecco cosa succede già a pagina 6:
Percorsi il corridoio fermandomi ogni due o tre passi a esaminare i prodotti sugli scaffali. In gran parte si trattava di comuni articoli per l’ufficio o la scuola, ma il campionario era davvero ampio per uno spazio così angusto, e mi colpì la cura posta nell’ammassare e disporre in bell’ordine così tanti articoli, che sembravano comprendere tutto: dai fermagli di ottone di sei lunghezze diverse, a dodici modelli di graffette da carta. Quando girai l’angolo, passando nell’altro corridoio che riportava alla cassa, vidi che uno scaffale era riservato a numerosi prodotti esteri di classe: blocchi in pelle importati dall’Italia; rubriche francesi, fini cartellette giapponesi in carta di riso. C’erano anche taccuini per gli appunti: una pila di fabbricazione tedesca e una portoghese. Trovai particolarmente accattivanti quelli fabbricati in Portogallo, con le copertine rigide, i quadretti e le segnature cucite, e la robusta carta a prova di macchia. Nell’istante in cui ne presi uno e lo tenni in mano fui sicuro di comprarlo. Non c’era frivolezza in quei taccuini, nessuna ostentazione. Erano pratici ferri del mestiere – banali, ordinari, robusti, ben diversi dai moduli in bianco che può venirti in mente di regalare. Però apprezzai la legatura in tela, e anche la forma, ventitré centimetri e mezzo per diciotto e mezzo, cioè appena un po’ più bassi e larghi della media dei taccuini. Non so dire perché, ma quelle dimensioni mi diedero una sensazione di profondo appagamento, e tenendo per la prima volta il taccuino tra le mani provai un che di simile al piacere fisico, un’espansione di benessere istantaneo e inspiegabile. Solo quattro taccuini restavano nella pila, ciascuno di un colore diverso: nero, rosso, marrone e blu. Scelsi quello blu, che casualmente era anche il primo in alto.
io scrivo dove capita…non è che l’ispirazione aspetta taccuini ;o)
Lo ho letto anch’io. In effetti quella del taccuino e la cosa piu’ interessante (l’unica?) di tutto il libro.
Pero’ il libro mi sono gia’ reso conto che non lo dimentichero’ piu’. Ogni libreria dove capito, se l’occhio cade sui blocchetti….
è la stessa cosa che faccio io: devo toccare fisicamente blocco e penna per “sentirle”. Sono parte dell’ispirazione quando scrivo. Un blocco non “sentito” equivale a non scrivere bene. Deve “appartenermi”. è una sensazione strana: annuso addirittura la carta. Il suo odore. La sua matericità.
Sono da ricovero… :))
peste
Nuovo taccuino…nuova vita. A volte ci perdiamo in dettagli inutili…che aiutano.
Andrea
P.S.
Cara Luisa, hai cancellato il mio commento al post sul glossario della Regione Sicilia. il Blog è tuo e io avevo solo fatto una battuta…
( avevo scritto che speravo non avessero speso 100.000 euro come per l’inno regionale).
Saluti ;-))
E’ il fascino delle Moleskine, che è poi è il fascino che subivo da bambino dei quaderni con la copertina nera: mio nonno nel vecchio magazziono del Sud che conservava cio’ che rimaneva del suo emporio ne teneva diversi pacchi.