Uno dei motivi per cui in questa settimana ho bloggato poco è che sto leggendo Un altro giro di giostra di Tiziano Terzani, un libro che sto stranamente centellinando, considerando i miei soliti ritmi voraci.
Il suo viaggio me lo sto godendo, tappa per tappa, ma soprattutto – evidentemente – sto facendo mio quel suo continuo invito a non anticipare il domani, ma a guardare e godere quello che sta succedendo adesso. E quello che succede a un giornalista ammalato di cancro e di curiosità, che gira il mondo a cercare non la cura miracolosa, ma delle nuove ragioni per vivere, sperare, capire e amare ancora la vita, è una lezione continua, e pure un bel divertimento.
Solo che nonostante tanto girare, il vero viaggio è quello che Terzani fa dentro di sé e che si conclude nel silenzio, nella semplicità e nella solitudine di fronte alle cime dell’Himalaya.
“E’ questo ciò che posso consigliare ad altri: cambiare vita per curarsi, cambiare vita per cambiare se stessi. Per il resto ognuno deve fare la strada da solo. Non ci sono scorciatoie che posso indicare. I libri sacri, i maestri, i guru, le religioni servono, ma come servono gli ascensori che ci portano in su facendoci risparmiare le scale. L’ultimo pezzo del cammino, quella scaletta che conduce sul tetto dal quale si vede il mondo o sul quale ci si può distendere a diventare una nuvola, quell’ultimo pezzo va fatto a piedi, da soli.”
Terzani viaggia, medita, osserva e, nella calma di un ashram indiano, studia il sanscrito per capire meglio i Veda, i libri sacri della cultura indiana. Spiega parole, traduce mantra… e qui mi sono appassionata a scoprire le madri indiane di tante nostre parole di europei di ieri e di oggi.
Atman, anima in sanscrito… atmen respirare in tedesco.
Tri, tre in sanscrito… la radice di tutti i nostri numeri perfetti.
Cona, angolo in sanscrito… esquina, angolo in spagnolo.
Vira, eroe in sancrito… vir, uomo in latino.
Pada, gamba o piede in sanscrito.
Supta, sdraiato in sanscrito, come il nostro supino.
Om, il primo di tutti i suoni, così simile all’amen con cui concludiamo le nostre preghiere.
E ho scoperto pure che il nome di un pacifico signore dello Sri Lanka, che conoscevo e che è morto da poco, significava “pace”: shanti. Che inizia come shalom.
“Pada, gamba o piede in sanscrito.”
Mi vengono in mente le cinque dita del piede.
In ceco “pet” (pronuncia è “piet”) significa “cinque”, il numero cinque.
PADnact è quindici.
PADesat è cinquanta.
cona è angolo in sanscrito e COIN in francese
cona è angolo in sanscrito e corner in inglese (la pronuncia mi sembra simile, ma è una mia ipotesi)
“le madri indiane di tante nostre parole di europei di ieri e di oggi.”
Oriente culla. E se provassimo a ripartire da li’?
Forse sono li’ le stelle di cui sentiamo ora tanto la mancanza, da cui tanto ci siamo allontanati.
“de-sidus, sideris: “sentire la mancanza delle stelle”.
me ne ero accorta anch’io leggendo il nome originale in sanscrito di alcune posizioni, o “asana”, dello yoga. la più bella? la posizione del morto : MRITA ASANA!
ma anche , per restare in tema, la posizione del triangolo: TRIKONA ASANA , cioè tri-kona-(3 angoli) asana.
bellissima anche la posizione del galletto: kukkutasana, è onomatopeica, come chicchiricchì!
Quante mamme indiane… me ne vengono in mente altre due: “maya”, illusione in sanscrito, come la nostra “magia”; e “agni”, fuoco, molto simile al latino ignis.
Luisa
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