In un commento a un post precedente, qualcuno ha giustamente puntato il dito contro l’orribile linguaggio del marketing. Tutto inglese, oppure italiano che a forza di scimmiottare l’inglese non è più tale.
Quando provi a farlo notare, i markettari ti guardano con aria di superiorità e ti dicono che si può dire solo così.
Be’, ora ho la prova provata che non è vero.
Questa settimana ho passato tre giorni chiusa per otto ore e passa dentro le aule della SDA Bocconi ad apprendere i rudimenti del “marketing per non addetti”. Dai docenti che si sono avvicendati, la gran parte dei quali formatisi anche negli USA, avrò sentito sì e no cinque o sei termini in inglese, tutti regolarmente tradotti e spiegati.
Ho sentito “quota di mercato” e non market share, “vendite” e non sales, “catena del valore” e non value chain. Poche le eccezioni: market-driven, customer loyalty, customer relationship management.
Allora vuol dire che si può. Ma si tratta probabilmente di un invidiabile punto di arrivo.
Che strano: io studio in Bocconi e tutti vogliono convincermi che “Mkt share” è l’unico modo corretto per dire quota di mkt… Si vede che devo andare alla SDA per tornare all’Italiano…
Un altro piccolo segnale di “intelligenza linguistica”: i dirigenti di Telecom Italia hanno deciso di tradurre in italiano i nomi delle funzioni aziendali.
Così Media Planning & Buying è diventato Pianificazione e acquisiti media e Communication & Media Relations è stata ribattezzata Relazione con i media.
Non hanno certo perso autorevolezza e ci hanno guadagnato in chiarezza.
Checché (con l’accento) ne dicano alla Bocconi.
Claudio
Io con il marketese devo conviverci ogni giorno, visto che è il mio lavoro. Con un po’ di buona volontà, ho scoperto che i miei tentativi di riportare una certa integrità linguistica stanno avendo un certo effetto.
Comunque il peggio è chi parla per acronimi inglesi! Un esempio? “SLA” (“Service level agreement”), traducibile con un pessimo “accordo sul livello minimo del servizio”.
Gomez