Quando il primo libro di uno scrittore ci appare compiuto e perfetto, aspettiamo con ansia di leggere ancora qualcosa di lui, ma al tempo stesso ci domandiamo se è possibile andare oltre quella perfezione. Per me è stato così con L’interprete dei malanni, splendida raccolta di racconti dell’angloamericana Jhumpa Lahiri, che con questo primo libro ha vinto il Premio Pulitzer per la Narrativa nel 2000. L’ho letto in italiano, poi l’ho voluto gustare di nuovo in inglese.
Racconti sottili di incontri di persone e di mondi diversi in situazioni quotidiane e familiari: una coppia che riesce a parlarsi solo nel buio di un blackout, una signora che confida improvvisamente a una guida turistica un tremendo segreto della sua vita, il breve vissuto di uno studente indiano e di una vecchissima signora del New England nella stessa casa. Piccole case in cui si riesce ogni giorno a sfuggirsi, incontri per caso che illuminano un giorno o una vita.
Oggi leggo che la signora Lahiri ha pubblicato il suo secondo libro: The Namesake, un lungo romanzo.
Non aspetterò la traduzione: ho troppa voglia di risentire la sua voce raccontare pacata una storia.
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