Appartengo alla categoria di editor che se scoprono un refuso si sentono male.
Sono una maniaca dei controlli sulla grammatica e su Google. Rileggo e faccio rileggere un testo mille volte, soprattutto quando è destinato alla stampa.
L’attuale diffusa disinvoltura nei confronti di apostrofi e accenti non mi consola dei miei errori e non me li fa apparire meno gravi.
Non me ne importa niente se persino la Mercedes, nella sua ultima campagna sulla Classe E, uscita su tutti i maggiori settimanali, ha scritto “nè…, nè…” con gli accenti sbagliati. Vuol dire che né il copy della loro costosa agenzia, né i loro manager della comunicazione sanno l’italiano o sanno che i testi vanno riletti con cura prima di mandarli in stampa.
La verità è che il controllo finale sui testi, il proofreading, costa tempo e denaro. E per questo spesso si taglia.
La scarsa attenzione alla versione finale dei testi viene confermata anche da un sondaggio effettuato dall’autorevole società di comunicazione Ragan (Chicago).
Tra gli editor intervistati, il 44% si fa il proofreading da solo, il 46% lo chiede a colleghi dello stesso settore, solo il 10% si affida a un correttore di bozze professionale.
Il 54% è perfettamente consapevole di essere molto carente sui controlli dei testi e se ne duole, ma sostiene di leggere e rileggere i testi fino alla nausea, tanto da non riuscire più a vedere gli errori.
Dopo il disastroso sondaggio, l’articolista di Corporate Writer & Editor offre però una serie di consigli pratici all’editor sconsolato. E lo fa con il pragmatico metodo anglosassone del problema/soluzione.
1. Problema: “Non abbiamo abbastanza correttori di bozze. Il lavoro è tanto e non ce la facciamo”.
Soluzione: “Trovate volontari all’esterno della funzione Comunicazione. Chiedete a colleghi colti e precisini e a familiari affettuosi di leggere l’ultima bozza per voi. Saranno felici di farlo. Oppure tenete un collega “di riserva”, all’oscuro della pubblicazione fino all’ultimo e dategli la bozza”.
2. Problema: “L’editor si è stufato e non dà la necessaria ultima occhiata al testo”.
Soluzione: “Non affidategli più questo compito. Per rileggere ad alta voce quando si pensa tutto sia ormai perfetto o per rileggere tutto il testo all’indietro con un righello, ci vuole passione e una certa dose di maniacalità. Per questo compito scegliete i maniaci”.
3. Problema: “Abbiamo troppi correttori di bozze, e magari un po’ dilettanti”.
Soluzione: “Burocratica: fate firmare a ogni correttore la sua ultima bozza; vedrete che farà attenzione. Più soft: eliminate i correttori scadenti dalla vostra lista e cercateli dove c’è gente abituata alla precisione. Nell’amministrazione, per esempio.”
4. Problema: “Dirigenti con grandi ego e piccoli cervelli che credono di poter riscrivere e sindacare un testo solo perché hanno una laurea e qualche ricordo scolastico”.
Soluzione: “Non c’è soluzione, se non assumere un atteggiamento filosofico e dirsi Tutto ciò che fai deve avere almeno un errore. La perfezione sarebbe una sfida a Dio“.
Innanzi tutto mi scuso per l’anonimato: sono alla mia prima visita… approfondirò presto la conoscenza del sito.
Leggo e commento:
“Io appartengo a quella categoria di editor che se scoprono un refuso si sentono male.”
Purtroppo (o per fortuna!) anch’io.
“Chiedete a colleghi colti e precisioni e a familiari affettuosi di leggere l’ultima bozza per voi. Saranno felici di farlo.”
Colleghi colti e precisi – vero?
Gabriela
No, Gabriela, in realtà volevo scrivere “precisini”.
Grazie.
Contrariamente al mio solito atteggiamento autopunitivo di lasciare errore e commento/bacchettata, questa volta correggo 😉
Ciao.
Luisa
Come mi sento solidale con l’autore dell’ultimo punto! Sapessi quanti manager ho conosciuto convinti che la capacità di scrivere fosse direttamente proporzionale alla capacità di gestire una azienda. E pretendevano di inserire i propri interventi sulla brochure istituzionale, intonsi, simpaticamente pieni di indicativi, poveri di congiuntivi, straripanti di virgole…