Gli ultimi libri
Il pm Woodcock ormai lo conosciamo tutti. Ma per i giornalisti, ogni volta che ne parlano, è come se fosse la prima volta e vogliono sorprenderci. E così, dopo averlo nominato ad apertura di servizio, scatta automatica la tentazione dell’esotismo e la seconda volta è immancabilmente “il magistrato anglo-italiano o anglo-napoletano”, “il pm di origini inglesi”. Sarà così per tutta vallettopoli?
Al figlio che gli chiede sui suoi inizi di giornalista, Terzani risponde che “oggi fare quello che facevo io a quel tempo, quello che facevamo noi, sarebbe impossibile perché non c’è lo stesso spazio.” Spazio: mi ha colpito moltissimo questa parola, perché è proprio “spazio” in senso letterale. È vero: viviamo il tempo dello spot, dei tre minuti, delle pagine che non si leggono se non spezzate in mille boxini, sottotitoli, figure. Il tempo dei contenitori delle piccole cose, e […]
Credo di aver letto tutti i libri di Tiziano Terzani, a partire da quella rivelazione che fu Un indovino mi disse, ormai molti anni fa. Ma ho indugiato parecchio prima di comprare e cominciare La fine è il mio inizio. Non so se per paura di un’operazione commerciale post-mortem o per non sciupare quello che per me è stato il vero congedo di Terzani, lo sguardo sull’Himalaya e sul mondo alla fine del suo ultimo giro di giostra. Invece anche […]
Chissà cosa oggi ha spinto il titolista dell’edizione online di Repubblica a ricorrere a una lingua sorella, eppure così lontana (difficile che i nostri giornalisti ormai azzecchino anche una pur facile pronuncia), come il francese. Ma il francese, si sa, è lingua romantica, da chansonnier, e per dare notizia di un uomo morto di freddo nel cuore della notte sarà sembrata molto adatta ed elegante. Più del dilagante e asettico homeless, più del semplice senzatetto, infinitamente di più di barbone, […]
Il linguaggio dei giornalisti televisivi a volte ti fa rabbia, a volte ridere. Ti fa rabbia quando senti dire homeless o embedded, come se tutti sapessero l’inglese. Quando senti l’aggettivo e la tua mente ha già pronto il sostantivo tanto l’abbinamento è scontato. Quando al posto di un ente si cita una sigla incomprensibile. Ti diverte quando il giornalista ha poco da dire e allora si dà al “pezzo di colore”, dove il colore sta spesso per aggettivazione debordante, giochini […]
… mi trascino negli appunti da mesi la risposta del direttore del Manifesto Riccardo Barenghi a una bella lettera che chiedeva “Ma come scrivete al Manifesto?”. Prima o poi la perderò, è più sicura sulle pagine di questo blog. Dunque, il lettore chiedeva una maggiore attenzione a ricercare una forma e uno stile di comunicazione che tenesse maggiormente in considerazione l’obiettivo di un giornale: comunicare, far arrivare il messaggio a più persone possibili con la capacità di trattare anche temi […]
In questo momento la home page di Repubblica ha in primo piano due notizie apparentemente lontane: il furto dell’Urlo di Munch dal Munch Museet di Oslo e la “furiosa battaglia di Najaf”. Più di un secolo tra il quadro di un solitario artista norvegese e la guerra in Iraq, il mondo asettico di un museo da una parte, la polvere, la morte e gli spari dall’altra. Eppure quella faccia stravolta, quegli occhi dalle orbite vuote, quelle mani sulle orecchie, quelle […]
Never use a metaphor, simile or other figure of speech which you are used to seeing in print. Never use a long word where a short one will do. If it possible to cut out a word, cut it out. Never use the passive when you can use the active. Never use a foreign phrase, a scientific word or a jargon word if you can think of an everyday English equivalent. Break any of these rules sooner than say anything […]