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risali negli anni

23 Ottobre 2023

Il linguaggio chiaro dal podio al festival

Il 10 ottobre è uscita la decima edizione dello studio World’s Simplest Brands, a cura dell’agenzia di comunicazione Siegel+Gale, il cui payoff è Simple is smart.

La prima volta che lo sfogliai, le parole di apertura mi colpirono molto e da allora troneggiano spesso nelle slide delle mie presentazioni dedicate alla semplificazione del linguaggio:

Il nostro studio rivela che i brand più semplici del mondo mettono la chiarezza e la semplicità al cuore dell’esperienza del cliente.
I nostri risultati riaffermano che la semplicità ispira la fiducia più profonda e rafforza la lealtà.
Le persone sono inoltre più propense a raccomandare un brand che offre esperienze semplici.
La semplicità traina i profitti dei brand che decidono di farla propria.

Scoprii che queste parole avevano il potere di bloccare sul nascere qualsiasi obiezione del tipo “Il nostro settore è troppo complesso: semplificare significa banalizzare!”, soprattutto in settori particolarmente pieni di sé. Vedere sul podio dei brand “più semplici” proprio quelli più profittevoli induce a trattenere l’obiezione, almeno per la curiosità di vedere i vari piazzamenti, settore per settore.

Lo studio è infatti una classifica dei brand che a livello mondiale hanno il più alto “indice di semplicità” sia in assoluto, sia per aree geografiche sia per settori di mercato. La classifica si basa su interviste a circa 15.000 clienti.

Quest’anno mi sembra che l’orientamento al linguaggio e alla comunicazione sia più spiccato e inoltre ci sono alcune novità. Infatti la semplicità è intesa come:

  • facilità di comprensione
  • onestà e trasparenza
  • cura e attenzione dei bisogni del cliente
  • freschezza e innovazione
  • utilità.

Tutte cose che generano quel che è al cuore della relazione, la fiducia, parola che riecheggia lungo gli anni, di studio in studio, anche in questo 2023:

Per un brand comprendere e semplificare l’esperienza dell’utente paga sempre: gli ispira una profonda fiducia, rafforza la lealtà, aumenta la sua predisposizione alla spesa.

Quanto? Il 78% dei clienti è propenso a raccomandare un brand quando offre esperienze e comunicazioni semplici; il 64% è disposto a pagarle di più. La complessità costa, la semplicità fa guadagnare: un ideale portafoglio azionario composto dai brand che si sono classificati come i più semplici dal 2009, anno del primo studio di Siegel+Gale, avrebbe fatto registrare fino a oggi un +1.600%.

Quest’anno è stata esaminata anche la comunicazione delle iniziative di Diversity & Inclusion e di quelle ESG (Environmental, Social and Governance). Aspetti che i clienti prendono sempre più in considerazione ─ il 59% D&I, il 64% ESG ─, ma che le aziende non riescono ancora a comunicare bene: solo il 37% dei clienti comprende l’impegno in D&I, il 42% quello in ESG. Insomma, c’è ancora un bel lavoro da fare.

Se intanto vi ha preso la curiosità di vedere chi c’è sul podio per questa edizione, basta scaricare lo studio World’s Simplest Brands, come sempre pieno di grafici e facilissimo da consultare.

Per fortuna anche qui in Italia la sensibilità e l’interesse verso il linguaggio semplice e chiaro stanno crescendo tantissimo. Si è visto al Festival DiParola, che si è svolto il 21-22 settembre online, organizzato da Officina Microtesti. Numeri di partecipanti da capogiro e interventi superinteressanti, che ho seguito uno per uno.

Anche io ho dato il mio contributo, con un intervento dedicato all’ordine: delle informazioni, dei paragrafi, delle frasi, fino alle singole parole. Perché “la chiarezza parte dall’ordine e termina col vocabolario”: così ha distillato il mio intervento Valentina Di Michele, ideatrice e anima del Festival.

Volete sfogliare le slide? Eccole, parlano abbastanza da sole:

4 risposte a “Il linguaggio chiaro dal podio al festival”

  1. Ho letto il post e dopo sono migrata sul link suggerito, curiosa com’ero di scoprire quali sono i brand che trasmettono messaggi più semplici. Ho selezionato un brand a me familiare (IKEA) e ho confrontato la sua posizione in classifica nei vari Paesi. La differenza è notevole e sarebbe interessante conoscere il linguaggio che l’azienda usa in Svezia piuttosto che in Cina, per esempio. Se cioè la differenza di posizione in classifica dipende da un messaggio che cambia Paese per Paese o se lo stesso messaggio viene recepito n maniera diversa a seconda del diverso humus sociolinguistico.

    A parte queste mie divagazioni, da quando ho iniziato a seguirti, cara Luisa, ti immagino come la Marie Kondo dei testi. Tu arrivi e metti ordine: alleggerisci le nostre menti affaticate. Essere semplice, come spieghi nelle slide, vuol dire non obbligare il lettore a tornare indietro per interrogarsi sul significato di parole e frasi. Il pensiero nasce nella mente e io mi fido di una persona, e a maggior ragione di un brand, che sa esattamente cosa dire, come dirlo, senza trascinarmi nei labirinti di un linguaggio contorto.

    Grazie sempre a te

  2. Salve, mi risulta che gli stessi brand utilizzano messaggi differenti – addirittura nomi diversi negli stessi prodotti – in differenti paesi. Sembra sia il modo migliore per far arrivare il messaggio sottostante e raggiungere l’obiettivo. I rispetto delle differenze culturali è alla base degli studi diplomatici e non può non esserlo nei contesti pubblicitari.
    Ieri una persona mi diceva che Mcdonald’s fornisce prodotti diversi, adeguandoli ai gusti locali, che condividono però lo stesso nome, in stati differenti. Il disagio è nella trasversalità dell’utente, che se avvezzo agli spostamenti – e oggi chi non lo è? – trova delusa la sua aspettativa. Esattamente quanto è accaduto al mio interlocutore. la globalizzazione sembra garantire universalità, ma la stessa – in quanto tale – scavalca e annienta le differenze. queste, però ci appartengono, e allora come risolvere la contraddizione? E’ un quesito interessante…

  3. Salve.

    Ordine come via privilegiata verso chiarezza ed efficacia del comunicare rappresenta anche, secondo me, una forma di rispetto degli interlocutori.
    Mi chiedo, tuttavia, se possa, a tali fini, aver senso riflettere anche su una forma di disordine “buono”, “sano”, funzionale, in modica dose, ad esempio, a distinguere un testo rispetto a uno redatto tramite chatGPT.

    Grazie, anche per aver ricordato alcune riflessioni di Primo Levi sul tema.

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