In questi giorni sono immersa in un lavoro impegnativo ma assai bello, che riguarda il tono di voce di una importante destinazione turistica. La bellezza e il gusto stanno anche nel fatto che io mi innesto su un lavoro di ricerca fatto finalmente come si deve, durato un paio d’anni, coinvolgendo proprio tutti, dagli operatori ai cittadini. Una rivoluzione basata su valori forti, radicati e condivisi, che ora va tradotta in parole.
Non è la prima volta che mi occupo di turismo (in fondo al post trovi un bel po’ di link utili), un settore che ha un potenziale espressivo sconfinato, ma in cui molto più che in altri ci si accontenta della lingua Ikea.
La lingua Ikea è quella prefabbricata, fatta di tanti pezzi che puoi comporre come vuoi. Il catalogo è ampio: cose carucce, garbate, funzionali pure, ma gira che ti rigira rende gli ambienti testuali tutti uguali. Difficile che qualcosa attiri la tua attenzione, ti parli di chi quell’ambiente lo abita e invita anche te, si faccia ricordare. Però è comoda, economica, veloce e tanto rassicurante. Basta scorrere gli scaffali, mettere in abbondanza nel carrello senza darsi troppi pensieri, montare con facilità parole e frasi in autonomia e ottenere un arredamento dignitoso e confortevole.
Il catalogo è fatto di tutta la nostra memoria più recente e superficiale: cose che abbiamo visto e sentito tante volte, collocate negli scaffali del magazzino più vicini e a portata di mano. Sono infatti sempre le prime cose che ci vengono in mente; purtroppo sono anche le prime cose che vengono in mente alla maggior parte delle persone. Ma il nostro magazzino è immenso: ci sono tutte le parole che abbiamo incontrato almeno una volta, quelle che usiamo raramente, quelle che per noi hanno un significato speciale, quelle che hanno una risonanza intima ed emotiva, quelle che gli altri riconoscono come inconfondibilmente nostre. Solo che nel magazzino bisogna cercarle, munendosi di torcia e di una buona dose di pazienza. Se non ci sono, possiamo scovare quel pezzo-parola in un mercatino, in un negozio di design o di antiquariato. Questi luoghi fantastici sono i dizionari, purché abbiamo le idee chiare su quale effetto vogliamo ottenere.
La lingua Ikea può essere di funzionale semplicità ma non serve se desideriamo allineare il linguaggio ai nostri valori, a creare un ambiente che li rifletta e li esprima. Non si tratta di aspirare a inutili ricercatezze: magari le nostre parole sono le più quotidiane, ma è il modo di ordinarle e disporle che le rende fresche e inaudite. O gli spazi che mettiamo tra una frase e l’altra, un paragrafo e un altro. Oppure la ricercatezza c’è, ma voluta e consapevole, come un pezzo conservato o cercato a lungo. E gli oppure potrebbero continuare all’infinito, come infinite sono le persone e i brand. Tutte e tutti diversi, riconoscibili attraverso le parole che scelgono di usare, l’ordine e il ritmo in cui le mettono in fila.
La lingua Ikea sembra sostenibile. Come la fast fashion non è fatta per durare. Arriva presto il momento in cui non tiene o ci stanca. Ci stanca perché non ci appartiene davvero come quello che abbiamo cercato, recuperato, limato, avvitato con cura, lucidato come uno specchio. Anche questo si cambia nel tempo, certo, ma la base dei valori resta lì, salda e riconoscibile, come tutto quello su cui si è riflettuto e scelto con cura e attenzione perché parlasse agli altri di ciò che ci sta a cuore.
In tedesco per esprimere il concetto contemporaneo di “sostenibile” è stata scelta una parola già esistente, ampliandone l’accezione: nachhaltig, che significa durevole, fatto per durare. Lo stesso è stato fatto per “diversity”: Vielfältigkeit significa già molteplicità, varietà. Due scelte linguistiche molto sostenibili. Chissà se anche in italiano avessimo potuto fare lo stesso, invece di afferrare alla svelta dallo scaffale l’inglese diversity, con tutte le oscurità e le ambiguità che comporta usarlo in un contesto italiano.
Sulla lingua Ikea nel turismo e su come scrivere in modo autentico e sostenibile:
Un tono di voce dalle radici profonde
Eccola lì bella inchiodata, la lingua ikea! (Io lo scrivo piccolo perché in realtà trovo Ikea molto in gamba nella comunicazione marketing, ma ci siamo capite, la lingua-lego insomma). E’ una iattura. Uniforma tutto, annoia profondamente chi scrive e chi legge, e fa un po’ l’effetto di un mantello di cemento steso sui fiori di campo: ammazza la vita, che invece nella realtà prolifera in tutti i modi. Sto traducendo la relazione conclusiva di un progetto europeo Erasmus+, e sperimento una lingua ikea al cubo, con l’aggravante dell’abbondanza, inevitabile, di termini astratti. Potrebbe anche ciò che è ufficiale conservare una propria freschezza? Essere un po’ più attrattivo? Forse sì. In questo caso, da traduttrice non posso deviare molto dal seminato – certo, al testo sto facendo la respirazione bocca a bocca…
La freschezza dei testi ufficiali è la chiarezza!
La definizione di lingua Ikea non mi sembra perfettamente calzante però rende l’idea. Purtroppo mi sembra più usata dai giornalisti che dai copywriter 😊.
Cara Luisa, ciò che dici rispetta in pieno la mia visione di copywriting: un campo in cui, pur esistendo delle regole, ci si distingue rompendo i confini per rendere i testi non solo efficaci ma memorabili.
È sempre un piacere leggerti.
Grazie!
Quando un testo è scritto bene è sempre un piacere leggerlo, le tue considerazioni sono giuste, anche se devo ammettere che per me è un po’ difficile accostare qualcosa di negativo al mondo Ikea, il concetto però del prefabbricato e massificato ci sta tutto, forse mi piace più considerare Ikea con un alfabeto con il quale puoi costruire un testo o una casa, poi dipende dal tuo livello di creatività riuscire a trasformarlo in qualcosa di unico ed originale o addirittura memorabile.
Sono d’accordo con Filippo, questa tua osservazione la trovo più calzante con il mondo di certo giornalismo, non tanto per i Copywriter
Calzanti come sempre, cara Luisa, le tue osservazioni, sulla lingua standardizzata che rende i testi privi di mordente. Non so se la piattezza dei testi dipenda dalla fretta di chi li scrive o dalla mancanza di un ampio vocabolario. Sta di fatto che spesso inserisco il pilota automatico e già so che a una data parola ne corrisponde un’altra prevedibile. Ciò genera una lettura monotona. Non parliamo poi delle approssimazioni o inesattezze lessicali. Se è vero che a ogni parola corrisponde un’immagine, l’idea che ricaviamo della realtà risulta falsa se cediamo alla sciatteria. La precisione della lingua è quindi sempre più necessaria e vitale nella scrittura.
Grazie sempre a te, Luisa, che ci inviti a non rinchiuderci nel recinto stretto della lingua “ready to use”.
Buona lettura e scrittura a tutti.
Marinella
Bellissimo articolo Luisa, è sempre un piacere leggerti. Mi tocca molto quando parli di allineare il linguaggio ai nostri valori. Nessuno può farlo al nostro posto, neanche ChatGPT (per il momento!) 🙂
Anche in francese si usa il termine “durable”, ma ti confesso che “sostenibile” mi piace di più perché rimanda anche allo sforzo da compiere per far durare le cose.
Vero, Federica: per allineare il linguaggio ai valori, bisogna aver ben ricercato e riflettuto.
E capisco perché “sostenibilità” ti piace: è un aspetto cui sinceramente non avevo pensato.