Negli ultimi dieci anni mi sono spesso occupata di clienti arrabbiati e di risposte ai reclami, soprattutto in ambito bancario, finanziario e assicurativo. Tutti settori che toccano profondamente la vita delle persone e delle loro famiglie, dove quindi la sensibilità è altissima e le parole giuste possono recuperare un cliente in extremis o a far sì che si fermi lì, senza mandare un esposto alla Banca d’Italia o un reclamo all’IVASS o all’Arbitro Bancario Finanziario.
Al tema reclami e soprattutto alla necessità di scusarsi come migliore strategia quando si ha torto avevo già dedicato un post. Ora che me ne sto occupando di nuovo per un grande gruppo bancario, sono andata a riguardarlo e mi sono accorta che era addirittura di otto anni fa. Quello che allora appariva un ottimo consiglio, che suscitava comunque ancora diffidenza, appare oggi un vero imperativo.
I consumatori sono molto più informati e soprattutto più consapevoli dei loro diritti. La digitalizzazione ha corso: scrivere e inviare un reclamo è questione di pochi minuti e sull’onda dell’arrabbiatura resistere per calmarsi e rifletterci su è davvero difficile. La pandemia ha fatto il resto: per moltissime organizzazioni pubbliche e private la parola scritta ha sostituito ormai da quasi due anni il contatto faccia a faccia allo sportello, all’URP, in filiale. In più ha aumentato sia i disservizi sia la sensibilità a quello che non funziona.
Alla luce di questi cambiamenti e delle mie nuove esperienze, riscrivo quel post sull’attualissimo tema “sapersi scusare come si deve”.
Il mio punto di partenza era un articolo di Hannah Moffatt, fondatrice dell’agenzia britannica Schwa*, su Customer Experience Magazine: Don’t let “sorry” be the hardest word for your business.
La Moffatt offriva cinque consigli di base che io reinterpretavo così:
- ascoltare “attivamente” quello il cliente ci dice scrivendo: analizzare il suo linguaggio ci dà mille chiavi per capire chi è e come rispondere
- scusarsi con un’intenzione sincera; se non lo è, il cliente lo capisce subito e si arrabbia ancora di più
- “suonare” sinceri, per esempio con il coraggio della forma attiva (abbiamo verificato e le confermiamo che la Banca le ha addebitato una commissione non dovuta, non le è stata addebitata una commissione non dovuta)
- ammettere l’errore, non in termini vaghi e generici, ma precisi e circostanziati (dare la colpa a un “errore di sistema” o a un “inconveniente tecnico” è anche peggio che sorvolare sulla spiegazione)
- non edulcorare il messaggio con formule da brochure o comunicato stampa su quanto l’azienda sia attenta al cliente, lo metta al centro e simili formulette, né insistere sull’impegno che vi profonde (conta solo il risultato).
Più di recente, sul sito dell’Association of Psychological Science un gruppo di psicologi ha pubblicato i risultati di uno studio sull’effetto benefico delle scuse, individuando 6 elementi per le scuse che funzionano. Il sito Nice Replay, dedicato al servizio al cliente, li adatta così al contesto aziendale:
- Empatia, che non significa dire semplicemente “ti capisco” o “ci dispiace”. Significa che capiamo perché ci mettiamo nei suoi panni.
- Chiedere scusa, subito e in modo personale e diretto.
- Offrire una spiegazione, ma solo se utile, chiara, convincente.
- Offrire una soluzione, se possibile.
- Offrire una compensazione, se possibile.
- Tirare le fila alla fine, con una piccola personalizzazione, una call to action o scusandosi di nuovo.
Infatti, non sempre è possibile offrire una soluzione o una compensazione. Scegliere le parole giuste per salvare la relazione invece sì. I risultati del National Customer Rage Study 2020 riferito agli USA (sì, avete letto bene, rabbia!) indicano con chiarezza che la maggior parte delle aspettative di un cliente arrabbiato riguardano sì elementi materiali, ma ancor di più elementi che hanno a che fare con l’essere considerati, presi sul serio. Per esempio:
- spiegazione di quanto è successo
- garanzia che la cosa non si ripeterà
- scuse esplicite
- riconoscimento del suo stato d’animo
- un grazie per aver segnalato il problema
- risposta non da template, ma in linguaggio umano e naturale.
Di mio aggiungerei:
- scusarsi come si deve significa soprattutto farlo all’inizio (prima di tutto desideriamo scusarci per non averla ricontattata in tempo utile ), non alla fine o in un inciso (scusandoci per non averla ricontattata in tempo utile, porgiamo cordiali saluti).
Se ci si scusa subito, il cliente arrabbiato comincia a calmarsi e legge il seguito in un altro stato d’animo invece di chiedersi “ma questi dove vanno a parare?” Per la Carey School of Business, il 37% dei clienti arrabbiati è soddisfatto con una soluzione o una compensazione, ma se all’inizio si collocano le scuse, la percentuale sale al 74%.
Quando l’errore è grave, meglio appellarsi alla comprensione del cliente che arrampicarsi sugli specchi: Incidenti di questo tipo non dovrebbero mai succedere: contiamo sulla sua comprensione e la ringraziamo per averlo descritto con tanta precisione. Ci aiuterà a far sì che non si ripeta. - riconoscere lo stato d’animo del cliente significa rispecchiarlo attraverso le parole giuste, anche se sono parole forti. Se la signora protesta perché ha scritto e telefonato non si sa quante volte per avere una risposta su una questione importante, non si tratta di un disagio, ma di vera e propria esasperazione e usare questa parola può placarla perché si vede riconosciuta e capita (la preghiamo di scusarci: possiamo capire che lei a questo punto sia esasperata). Chiamiamo le cose con il loro nome: un errore dell’azienda non è un semplice inconveniente per il cliente, casomai un problema che ha causato disagi e difficoltà; non è nemmeno un disguido, che indica qualcosa di leggero e dovuto a circostanze fortuite. E una cosa che non funziona è un disservizio, senza tanti giri di parole.
- usare un linguaggio umano e naturale non significa solo abolire il burocratese, ma anche non ricorrere a un vocabolario antiquato: non ci si rammarica né ci si duole, casomai ci si dispiace; non si rammenta, ma si ricorda; e il cliente non ha lamentato un problema (a chi piace sentirsi definire lamentoso?), ma lo ha comunicato, esposto, presentato, segnalato
- personalizzare la risposta non significa reinventare ogni volta la ruota, ma aggiungere qualcosa, magari anche un dettaglio, che faccia capire che il reclamo è stato letto per bene e che la risposta è personale, non un template buono per tutti:
– ci dispiace che questo errore le abbia fatto perdere del tempo prezioso se il cliente ha evidenziato questo aspetto
– ci auguriamo di riottenere la sua più piena fiducia se ha minacciato di chiudere il conto corrente
– ci dispiace per il disagio che questo ha comportato per sua mamma anziana se il problema ha coinvolto la signora
– ci auguriamo che questo non abbia scosso la fiducia di un cliente fedelissimo come lei se lo è da 30 anni
– la aspettiamo con la documentazione che ancora manca per chiudere subito la pratica e la salutiamo cordialmente ha il vantaggio della personalizzazione e di ricordare la cosa più importante.
Il punto migliore per inserire queste piccole personalizzazioni è alla fine: non “smontiamo” il template e inoltre godiamo del “recency effect”, l’effetto più forte di ciò che si legge per ultimo.
Scrivere i template di risposta in linguaggio naturale e umano e personalizzare alla fine ci garantisce l’effetto “scritto per me da una persona in carne e ossa”.
La classica obiezione all’ammissione trasparente di un errore può arrivare dall’ufficio legale: e se poi il cliente se ne approfitta e chiede i danni? In realtà, le ricerche dicono il contrario. Secondo una ricerca della società britannica di mediazione e risoluzione delle controversie Ombudsman la maggior parte dei clienti, in caso di disservizio o prodotto scadente, apprezza le scuse. E le scuse non aumentano ma diminuiscono il contenzioso. Da quando il sistema sanitario dell’università del Michigan ha permesso a medici e infermiere di chiedere scusa ai pazienti in caso di problemi, le spese legali sono diminuite di quasi il 50%.
Mia cara Luisa,
tutto quanto scrivi, da decenni, è prezioso e da splendido manuale della comunicazione efficace. Come sai lo dico anch’io da molto tempo ( e se facciamo la gara su chi è partito prima, vinco io, ormai mi avvio agli 85 anni) ma il problema irrisolto è il pensiero dei legali dei nostri clienti: i clienti credono più agli avvocati che ai comunicatori. I legali sono irremovibili, alla faccia delle ricerche che li smentiscono. Una volta, avendo tra i partecipanti ad un corso su questo tema anche un grintoso avvocato, ho dovuto interrompere il corso perché la querelle era insanabile. Forse in questi tempi così ricchi di scaramucce e di ripicche da serie B, un po’ di luce in fondo al tunnel si comincia a vedere. Non so se arriverò a vedere un avvocato che si scusa. Temo di no. Ma noi non molliamo, vero? Un abbraccio.
Sig. Cogno, scusi, ma il suo pensiero non mi è chiaro quando attribuisce agli avvocati una presunta irremovibilità: irremovibilità a chiedere scusa o a far accettare le scuse?
In ogni caso mi appare chiaro il suo sfavorevole giudizio nei confronti della categoria forense. Comprenderebbe a questo punto, tirando le fila del suo discorso e volendo procedere per altre generalizzazioni, se dubitassimo anche dei comunicatori in quanto abili manipolatori? ( perdoni la rima fetente). Personalmente, ritengo sempre inopportuno generalizzare.
Materia spinosa, cara Luisa, quella che riguarda la corrispondenza banca-cliente, nota per essere deresponsabilizzante per chi ha sbagliato. Se consideriamo poi che gli errori delle banche comportano quasi sempre un danno economico per il cliente, comprendiamo come sia sempre più raro trovare “chi” ammette di aver fatto “cosa”.
Nonostante scartavetrare un sistema comunicativo consolidato resti difficile, non bisogna demordere. Stavolta tocca a te, Luisa, come esperta di comunicazione, riformulare frasi urticanti, insegnare il dono dell’umiltà e umanizzare i rapporti burocratizzati da troppo tempo.
Il cammino è lungo e tortuoso, ma ce la farai, e beneficeremo tutti della tua ristrutturazione lessicale.
Saluti a tutti
Marinella Simioli