Si vede che la comunicazione fa parte del DNA della famiglia Carrada, perché mio fratello Giovanni ha seguito un percorso professionale parallelo al mio, anche se è partito da una laurea in scienze biologiche anziché in storia dell’arte. Da 25 anni infatti è autore della trasmissione televisiva di Piero Angela, ma ha anche scritto libri di divulgazione scientifica e curato mostre e allestimenti museali, è consulente per le strategie di comunicazione per aziende e istituti di ricerca. La sua passione è sempre stata quella di far conoscere scoperte e invenzioni che possono migliorare la vita, la salute, l’economia o l’ambiente, anche quando la cosa è complicata, controintuitiva, o semplicemente “troppo nuova”. E oggi ha deciso di condividere quello che ha imparato sulla comunicazione dell’innovazione con una newsletter molto interessante, ma anche molto utile (posso dirlo perché ho già letto un bel po’ di anteprime).
Gli ho posto quindi qualche domanda, per me e per voi.
Che cosa scriverai per i tuoi lettori?
Ogni due settimane, Troppo nuovo! propone storie di innovazioni che hanno avuto più successo – o meno successo – di quanto oggettivamente ne meritassero. Ed esplora le ragioni di questa differenza in più o in meno, perché è qui che si possono trovare le leve di una comunicazione più efficace. Ogni storia è molto particolare, ma ha qualcosa da insegnare su tante altre innovazioni, grandi o piccole. Troppo nuovo! è pensata quindi per chi innova e per chi deve promuovere qualcosa di nuovo, ma anche per tutte le persone che si fanno delle domande sul nostro rapporto con le nuove tecnologie, e condividono una certa insofferenza nei confronti dell’inerzia o addirittura ostilità verso le cose nuove, così diffusa soprattutto nel nostro paese.
Qual è la tua Big Idea?
Molto più spesso di quanto immaginiamo, noi accettiamo o respingiamo un’innovazione soprattutto in base a come ci fa sentire. È un fatto di emozioni, prima che di razionalità. Emozioni che affondano le radici nei tanti bias cognitivi che affliggono la nostra mente, nella cultura popolare, nelle vicende di quel particolare settore, nello spirito del tempo. Quindi, per poter comunicare un’innovazione in modo efficace, bisogna prima immaginare come verrà percepita dagli altri, e questo è qualcosa che riesce spesso difficile a chi l’ha inventata o concepita. Un tipico caso di “maledizione dell’esperto”, o di “illusione razionalista”: la convinzione che la persuasione dipenda solo da un’esposizione chiara e razionale dei fatti. Ecco, l’ambito esplorato dalla newsletter è proprio questa componente soggettiva, che è psicologica, culturale, sociale. Senza un modello mentale del proprio interlocutore, è difficile riuscire a toccare le corde giuste per convincerlo. Questo è vero in generale in ogni ambito della comunicazione, ma l’innovazione ha anche delle regole tutte sue. Per questo il payoff di Troppo nuovo! è “Comunicare l’innovazione con gli occhi degli altri”.
Cos’hanno in comune le storie che racconti?
Sono storie di tecnologie di ieri, di oggi o anche solo annunciate, che hanno avuto più fortuna – o molto più spesso – meno fortuna di quella che meriterebbero in base ai loro meriti obiettivi, tecnici o economici. Si va da un nuovo dispositivo per accelerare i parti ostruiti, inventato da un meccanico di Buenos Aires, allo strano destino dell’innovazione in agricoltura, forse l’unico settore in cui è considerata in disvalore. Da come lo studio dei “mostri” nelle religioni animiste ci offre una chiave di lettura sul nostro rapporto ambivalente con la plastica allo straordinario potere che hanno i nomi, come Organismi Geneticamente Modificati o Intelligenza Artificiale. Cerco di portare punti di vista di discipline anche lontane, come l’antropologia o la psicologia cognitiva, e molto spesso anche la mia esperienza professionale con innovazioni che ho seguito come giornalista o come consulente. Ogni volta cerco anche di spiegare una tecnologia poco conosciuta, una famosa ma mal capita, oppure un meccanismo economico o sociale. Si lamenta sempre la mancanza di cultura scientifica, quasi mai la mancanza di una cultura tecnologica, cioè del ruolo della tecnologia nella continua reinvenzione delle nostre vite, che è invece molto più grave.
Perché hai scelto proprio questo argomento?
Ti sembrerà incredibile, ma sulla comunicazione dell’innovazione c’è molto poco. Sono state scritte intere biblioteche su come essere più creativi o innovativi, su come comunicare la scienza, sul cambiamento organizzativo nelle aziende, ma molto poco su quell’ultimo miglio che bisogna percorrere per fare adottare o accettare una tecnologia nuova. Eppure, il mondo è pieno di innovazioni che sarebbero utilissime per vivere meglio, per far crescere la nostra economia, per tutelare la nostra salute o per proteggere l’ambiente e le risorse naturali, che non vengono adottate, quando non vengono addirittura osteggiate. Pensa che c’è voluta una pandemia per convincerci finalmente a usare strumenti digitali che esistono da anni, ed evitare ad esempio migrazioni quotidiane di massa verso gli uffici, non sempre indispensabili.
Tu ti occupi di queste cose da tanti anni. Perché hai deciso di scriverne soltanto adesso?
È un progetto nato nei mesi del lockdown. Non avevo voglia di buttare il tempo che si era liberato ingozzandomi di serie televisive. Così mi sono ritagliato più tempo per riflettere e riordinare le idee su un tema che mi ha sempre affascinato e sul quale ho anche lavorato tanto negli ultimi quindici anni: quello che succede quando un’innovazione si incontra o si scontra con la società. Quando i saperi e le priorità degli esperti si confrontano con il vissuto o le aspirazioni di tutti noi. Quando il vecchio al quale siamo comunque affezionati deve cedere il posto al nuovo. Ho pensato che per ripartire dopo la pandemia avremo bisogno di tanta innovazione, e che non possiamo permetterci di tenere il futuro nel cassetto perché non ne sappiamo parlare.
Come crescerà questo progetto?
Per il momento, sarà già un bell’impegno continuare a pubblicare storie interessanti e idee per la comunicazione che siano davvero utili. Più in là, vorrei proporre ogni tanto anche dei brevi saggi di maggior respiro. Sto già lavorando al primo. Si chiamerà Innovation Supernarratives, Why we irrationally love or hate innovations, and what can be done about it, ed è un’analisi piuttosto approfondita dei bias cognitivi e delle intuizioni morali in gioco nelle grandi controversie su base scientifica. È in inglese, perché presto vorrei cominciare a pubblicare la newsletter anche in inglese.
Leggi la prima storia e, se ti piace, iscriviti a Troppo nuovo!
Ma che bella! E che grafica super! Grazie della segnalazione: già iscritta 😊
Bellissima segnalazione. Iscritto. Grazie
Grazie del consiglio! Già iscritto. Gran bel tema. Considerato che sul tema ci si schiera tra fazioni: conservatori/negazionisti e super tecno-ottimisti. Io avrei la mia prima domanda. C’è una terza via?
Molto interessante. Bello! Grazie
Buon sangue non mente, è il caso di dire! Mi sono iscritta alla newsletter del sito del tuo… germano! Interessantissima anche questa area della comunicazione (e divulgazione), che esplora campi sconfinati.