Sono abbastanza grande da aver studiato la storia dell’arte medievale su libri che avevano solo foto in bianco e nero e l’arte moderna e contemporanea sull’unico manuale che deteneva il monopolio delle scuole, delle università e delle nostre menti, l’Argan. Ho preparato la tesi di laurea in biblioteche polverose, dove ho aspettato per settimane le foto che dovevano arrivare dal British Museum per andare avanti nel mio lavoro. Per questo non riesco mai a dare per scontato di avere oggi a disposizione in pochi secondi tutte le immagini che desidero, di poterle accostare, ingrandire, tagliare, conservare nelle mie bacheche Pinterest. Quando lo faccio mi sento terribilmente fortunata e sopraffatta da un senso di meraviglia che non diventa mai abitudine.
Adoro sguazzare in tanta abbondanza. Mi ripaga, appunto, di tutta la penuria e gli stenti che ho vissuto durante gli studi, quando le immagini te le dovevi andare a cercare con fatica, nei libri o nei luoghi, e a sostenerti c’era solo la passione. Ho pensato a queste cose quando ieri sera sono arrivata all’ultima, gloriosa, pagina delle quasi 500 di Figure, l’ultimo libro di Riccardo Falcinelli. Sottotitolo: Come funzionano le immagini dal Rinascimento a Instagram.
500 pagine sono tante, eppure le ho lette volando, con la sensazione euforica a volte di essere altissima, con lo sguardo che abbracciava le epoche e le discipline, a volte di scendere in picchiata in un punto preciso, al cospetto di un ritratto rinascimentale, dentro l’interno borghese di una casa di Amsterdam nel ‘600, in una sala cinematografica negli anni ’30, o nello studio dove Cézanne riarrangiava in continuazione brocche, alzatine e mele.
I libri di Falcinelli ─ li ho letti tutti ─ sono così: grandiosi. Grandiosi, pieni di slanci e di voli, ma rigorosamente ordinati. Vai dappertutto, ma tutto si tiene. Avevo aspettative altissime, quindi, e ora posso dirlo: Figure supera tutti gli altri per originalità e soprattutto per capacità divulgativa.
Per imparare a vedere bisogna aver voglia di giocare e di divertirsi. La sfida, insomma, non è diventare tutti storici dell’arte ma diventare tutti più consapevoli di come funzionano questi oggetti visivi che abbiamo intorno, che siano dipinti, film o pubblicità. L’alternativa è non vedere niente. Ritrovarsi a vivere in un mondo che non capiamo davvero e che finiamo per subire.
La promessa è pienamente mantenuta: condurci a vedere le immagini non come specchio più o meno verosimile della realtà, ma come oggetti concreti con un loro funzionamento interno, un loro meccanismo, che possiamo scrutare, smontare, e capire. Proprio come un orologio con i suoi ingranaggi. Ma se l’orologio serve a scandire e a misurare il tempo, a cosa servono le immagini? E perché mai dovremmo prenderci la briga di smontarle?
Per conoscerci, capire come guardiamo, cosa è capace di emozionarci e perché. Per seguire un ritmo che ci rassicura. Per trovare ordine nel caos. Per dare un senso alle nostre esistenze finite.
In fondo le chiamiamo «immagini» proprio perché sappiamo che non sono la realtà, proprio perché accorgendoci di quelle pennellate non scambiamo un dipinto per una finestra. E anzi l’interesse che ne traiamo sta molto in questa consapevolezza.
Le opere d’arte, le fotografie, i film, i fumetti, le immagini della pubblicità sono prima di tutto forme, colori, contorni, equilibri, pesi e contrappesi, ritmi. Per questo nessuna delle 500 immagini a colori ha la didascalia: non è fondamentale chi sia il personaggio ritratto, l’episodio biblico o storico, il film da cui è tratto il fotogramma. È fondamentale la composizione, cioè il modo in cui gli elementi sono ordinati in un insieme. Solo questo importava a Chardin quando creava i suoi teatri di nature morte alla fine del ‘700, a Monet quando dipingeva le Ninfee, a Pollock quando camminava sgocciolando vernici.
Un formato è sempre una visione del mondo, un modo di sentire la vita.
Davanti alle immagini Falcinelli ci fa notare quello che difficilmente noteremmo da soli eppure riconosciamo immediatamente, senza alcuna fatica, come qualcosa che ci appartiene. Una madonna rinascimentale è solenne perché perfettamente centrata e inscritta in un triangolo; la madonna quasi sparisce ai nostri occhi per far emergere quella forma astratta di sacralità e maestà. Un cavallo ci trasmette l’idea e la sensazione del movimento in virtù della diagonale con cui taglia la superficie del quadro. Un paesaggio acquista profondità perché dai lati spuntano le fronde degli alberi, come le quinte di un teatro. E se vi sembra che una figura stia tornando a casa è perché è rivolta verso destra; immaginatela rivolta a sinistra e penserete subito che si stia dando alla fuga.
Guardare le immagini svincolandosi dai significati, dai racconti e dalla verosimiglianza è come vivere una liberazione: possiamo entrarci dentro e capire tante cose di noi e anche dell’epoca in cui sono nate. Prendono infatti forma sia assecondando la nostra psicologia e persino biologia, sia condizionate da circostanze contingenti e concrete. La composizione, per esempio, si afferma nel 600, quando gli artisti hanno a disposizione tantissima carta per schizzare, tentare, cambiare, spostare, riprovare.
E a proposito di entrare nell’immagine, è stupefacente notare gli accorgimenti cui gli artisti ricorrono per portarci dove vogliono loro: strade, alberi, mani, piedi, persino coltelli, che fungono tutti da frecce e segnali. Solo in Occidente però; in Oriente gli artisti non ci dirigono, ci invitano a perderci. Ecco il senso di tanti vuoti della pittura orientale.
Vuoti e pieni, rette e diagonali, ripetizioni e contrasti, staticità e movimento: le immagini che si allontanano dal soggetto si avvicinano alla musica, diventano puro ritmo. Si possono persino solfeggiare e Falcinelli ci fa vedere e sentire come si fa. Provateci ─ si può fare ─ e vedrete qualsiasi immagine in modo diverso.
I grandi artisti non sparpagliano oggetti a caso. Compongono sinfonie.
Questo vale per tutte le immagini, anche le fotografie, da quelle di Cartier-Bresson a quelle di Instagram. Anzi, a una fotografia è dedicato il capitolo che mi ha emozionata di più, dove Falcinelli smonta e spiega il meccanismo di una foto celeberrima, la bambina vietnamita Kim Phúc che nel 1972 fugge dai bombardamenti al napalm, che valse al fotografo il premio Pulitzer. Tutta questione di forme, infatti, frutto della scelta di scattare usando le gambe per mettersi occhi negli occhi con la bambina invece che per scappare.
Figure è un libro lucido e limpido, ma che emoziona, e tanto. Posso dire che è un crescendo di emozioni, fino all’ultimo sorprendente capitolo, in cui l’autore ─ fin lì misurato e razionale ─ ci apre il suo cuore e condivide con noi il senso ultimo di tanto guardare, investigare, collegare, ordinare e volare.
Bisogna riconoscere che c’è un briciolo di contemplazione in tutte le immagini, artistiche o commerciali, ed è questo piacere astratto, ritmico, formale che le rende eloquenti e memorabili.
PS Figure è un libro per tutti, sia perché tutti abbiamo bisogno di capire le immagini che ci circondano sia perché è scritto pensando a tutti.
Chi scrive vi troverà un motivo di interesse in più: anche per noi prestare maggiore attenzione alla composizione è fondamentale. Considerare il peso e il colore delle parole, l’effetto dei loro accostamenti. Imparare a scegliere meno parole, ma più precise, e a raffinare il valore espressivo di quella cosa spesso negletta che è la sintassi. Costruire un periodo pieno, ritmico ed equilibrato spostando instancabilmente frasi e parole come faceva Cézanne con le sue mele.
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Grazie per questi spunti di lettura.. 🌷
Adua
Bellissima presentazione, grazie!
Grazie Luisa,
le tue parole precise e la tua sintassi raffinata sono un piacere nel piacere. Finita la quarantena da covid mi fionderò in libreria per accaparrarmi Figure. Ciao!
Grazie di cuore! Hai aperto una ulteriore finestra su di un mondo che amo ma che ha sempre segreti da svelare. Grazie ancora
Grazie per questo spunto di lettura.
Hai proprio ragione, anche chi scrive dovrebbe prestare maggior attenzione alla composizione.
Un giorno mi piacerebbe vagare in un museo con te, cara Luisa, senza tempo e direzioni prestabilite, per confrontare le mie impressioni con le tue. Assoluta ignoranza (la mia) vs piena padronanza (la tua).
Ogni volta che mi fermo davanti a un’opera, troppo o troppo poco, mi pervade la sensazione di non comprenderla come meriterebbe. Sento di non coglierne appieno la potenza e di sminuire il tempo che l’autore ci ha impiegato per crearla.
In assenza di una cultura artistica che stento a costruirmi, mi limito a osservare forme e colori, a chiedermi cosa l’artista ha voluto trasmettermi, in quale stato d’animo ha generato la sua opera, quali sono le tecniche usate.
Forse, però, dovrei semplicemente osservare, senza farla troppo lunga. In fondo le cose belle non devono per forza avere un significato.
Buon tutto a tutti e grazie ancora a te, Luisa, che condividi ogni volta la tua libreria.
Marinella Simioli
Comperato ieri, iniziato a leggerlo stanotte. Geniale sin dalle prime pagine.
Ho anche io finito di leggere da poco Figure e devo dire che mi ha rapito la semplicità, nonostante l’argomento non sia facile, con cui Falcinelli ci guida nel mondo delle immagini. Hai trovato la parola giusta per il titolo del tuo post: solfeggiare, è quello che si fa quando si impara la musica e si entra a poco a poco nel mondo delle note. Anche le immagini, sono note che compongono uno spartito che adesso posso comprendere un po’ di più.