Designer in gioco è online da quasi un mese e con le altre tre moschettiere o paladine, come qualcuno ci ha chiamate, osserviamo giorno per giorno cosa succede a questa strana creatura cui abbiamo dato vita senza alcun obiettivo se non quello di imparare e divertirci insieme. Una delle cose più interessanti sono le sbirciate alle carte più consultate: in testa, quasi sempre, c’è la calligrafa.
Ci fa piacere, ma soprattutto ci dice che bisogno espressivo, che ansia di bellezza e manualità covi dentro le più digitalizzate, i più organizzati tra noi. Gestiamo con disinvoltura i quadratini su Zoom e intanto sogniamo taccuini, matite e pennelli, immaginiamo di tracciare itinerari dalle direzioni unicamente emotive.
D’altra parte, non è certo un caso che le scuole di calligrafia continuino a riempirsi da quando il testo digitale è con noi. Da una parte il testo pulito e formalmente perfetto, che non porta traccia di tormenti, incertezze ed errori, eternamente emendabile; dall’altra l’umanità del tratto, con le sue debolezze, le sue cadute, le sue impennate e i suoi piccoli trionfi, che rimane sulla pagina così com’è venuta. Imperfetta, ma personale, parlante, con un ritmo sempre diverso. Da una parte la leggibilità, dall’altra l’espressione, l’arte qualche volta. Abbiamo evidentemente bisogno di entrambe.
Così ho riletto e gustato con calma due libri cui volevo da tempo dedicare un post. Quel podio su cui troneggia la calligrafa mi dice che il momento è arrivato.
Sono due libri complementari: uno guarda la calligrafia un po’ dall’alto, l’altro da vicinissimo:
- Il senso della linea. Scrittura e calligrafia nell’era digitale, di Chiara Riva, UXU Edizioni
- Lascia il segno. Il piacere di scrivere a mano per sé e per gli altri, di Monica Dengo, Terre di Mezzo Editore
Il senso della linea ci racconta cos’è oggi la calligrafia, come si distingue dalla semplice scrittura a mano, dalla tipografia, dal lettering, dove affonda le sue radici, come entra a pieno titolo nel design, anche con molte testimonianze di calligrafi e calligrafe italiani. Anzi, la seconda parte è una galleria delle loro opere su pareti, copertine di libri, etichette di vini, inviti, borse, vestiti, calendari. Oggetti della vita quotidiana dove testo e immagine si incontrano e vibrano di vita perché il tratto è espressivo di per sé, parla anche se non abbiamo ancora letto una sola parola. Come dice Francesca Biasetton, citata da Chiara Riva e autrice a sua volta di un altro bel libro sulla calligrafia:
Usiamo la tipografia per leggere, la calligrafia per sentire.
Se il libro di Chiara Riva è una ricognizione, quello di Monica Dengo è un’immersione. A partire dal titolo: “lascia il segno” si rivolge direttamente a noi, a quella parte spesso sopita, ansiosa ma timorosa di esprimersi. Lei la stana con la più allettante delle promesse, il “piacere di scrivere a mano”.
Il libro, o forse l’album, è intanto un piacere per la vista e il tatto. L’essenziale per la storia e poi, via, è tutto un invito alla scrittura: ampi spazi per scrivere guidati dai suoi segni pieni di colore e di ritmo che sembrano buttati giù or ora proprio per te. Dai primi esercizi “per scaldare la mano, ma anche il cuore” ai segreti delle legature con le quali le lettere si danno la mano alle infinite variazioni di spazi, dimensioni, strumenti che rendono la scrittura musica visiva, fino alle scritture “illeggibili” ma bellissime perché ormai svincolate da qualsiasi funzionalità. È, finalmente, lasciarsi andare:
Mentre scriviamo a mano possiamo percepire il legame che c’è fra ritmo della scrittura e respiro, fra ritmo e battito del cuore. In altre parole quando scriviamo, non scriviamo solo con la mano, ma con tutto il corpo… il foglio è lo spazio in cui ci muoviamo. È a quel punto che la scrittura diventa una danza.
Anni fa ho avuto la fortuna di danzare, goffissima, con Monica Dengo. Ero l’ultima della classe e non ho mai imparato a far scivolare i segni con leggerezza sul foglio. La danza richiede di esercitarsi per anni e io non ho avuto questa pazienza. Ho imparato però a godere degli spettacoli altrui e a capire quando bisogna lasciare la tastiera per la matita o il pennarello, la velocità per la lentezza, la produttività per l’approfondimento. Insomma a ballare anche da sola, quando nessuno mi guarda.
Molti post su quel memorabile corso sono nel “filo” scrivere a mano.