In un altro momento il messaggio con il quale oggi l’INPS ha annunciato la débacle del suo sito mi avrebbe fatto arrabbiare, nella situazione che viviamo mi ha resa profondamente triste. Mai come oggi le parole mi sono parse lo specchio impietoso sia dell’ignoranza sia delle intenzioni opache di chi ha ruoli di altissima responsabilità ed errori di comunicazione non se li può proprio permettere. Perché le parole pesano, ah se pesano!
Le intenzioni opache ovviamente non riguardano l’indennità in sé, ma il tentativo di metterci una pezza, di far passare un’incapacità per qualcos’altro. Cosa si fa in questi casi? Si monta il testo sbattendoci dentro parole e parole, possibilmente lunghe e inutili. Alla fine il tono altisonante deve averli convinti che sì, andava bene così.
Quindi:
- prima un obiettivo fasullo, introdotto dalla più burocratica delle locuzioni, al fine di, e dal più paternalista dei verbi, consentire
- segue la più scontata coppia di aggettivi, migliore e più efficace
- due improbabili nominalizzazioni: canalizzazione, ottenimento
- il ricorso a espressioni generiche: non è una richiesta di servizio, ma una richiesta di indennità, e così per prestazione
- lo scarico di responsabilità espresso dalla forma impersonale: si assicura
- l’avverbio di modo inutile, ma che fa “massa”: utilmente
- di fronte a tanto, l’apostrofo al posto dell’accento sulla u fa tenerezza.
Bastava veramente poco per scrivere un messaggio umano, vista l’umanità della materia trattata:
Sono arrivate, tutte insieme, moltissime richieste di indennità
e il sistema sta dando dei problemi.
Torniamo appena possibile:
tutti potranno inviare la loro domanda, anche nei prossimi giorni.
Intanto, scusateci e grazie della vostra pazienza.
Per mettere insieme le due parole magiche scusa + grazie ci vogliono coraggio, umiltà, sensibilità e anche un po’ di cultura manageriale. Che funzionino alla grande in tutte situazioni di crisi lo dimostrano fior di ricerche e le aziende accorte e scafate lo sanno benissimo.
Tra noi e le istituzioni pubbliche ora ci sono soprattutto le loro parole. Quelle dei bollettini, delle ordinanze, dei divieti, dei moduli, dei messaggi di un sito che non funziona. Se prima ce le facevamo scivolare addosso un po’ indifferenti e rassegnati, oggi ci graffiano e ci fanno male. Siamo diventati tutti ipersensibili: la cura delle parole curerebbe anche un po’ delle nostre ansie.
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Chapeau… Luisa…. Chapeau
Grazie di queste riflessioni, Luisa. Ne parlavo proprio ieri, ascoltando il balbettio di un politico che non rispondeva alle domande del suo intervistatore se non eludendole. E pensavo: ma è possibile che non abbia le parole giuste anche per dire che non sa la risposta? Una frase infelice, in questo momento, può fare la differenza (in negativo).
Sempre puntuale! Parole dorate!
Grazie Luisa, quanto è vero, mai come in questo momento.
Grazie cara Luisa,
Si, ciò che arriva è profonda tristezza.
Hanno i cuori chiusi, sono ciechi e dormono un sonno profondo. Un saluto da Londra. Giampiero I. Sadhu
Ciao, Luisa. Troppe parole sprecate e inutili. È vero graffiano e non risolvono.
Chiedere scusa (in altre situazioni “per favore” e “grazie”) non è usuale 🌸
Buonasera Luisa,
ti seguo da tanti anni, adoro il tuo blog e per me i tuoi libri sono un vero punto di riferimento.
Condivido quello che dici, anche a me quelle parole non piacciono proprio e le trovo sbagliate e vuote. Ma io non sono molto colpita da questo messaggio, perché stiamo parlando dell’INPS.
Quell’INPS che ha fatto un portale tutto nuovo dove non riesce a trovare nulla nemmeno una persona come me, avvezza al web perché ci lavora da 15 anni. Un sito innavigabile, incomprensibile, dove la UX è solo una chimera. Dove i termini “servizio” e “prestazione” vengono utilizzati senza cognizione di causa, io credo al solo scopo di confondere la povera gente avente diritto a qualche rimborso.
Dopo aver utilizzato questo portale da utente, ho perso qualsiasi fiducia nella comunicazione istituzionale e nei servizi alle persone di questo organo (non che prima ne avessi granché, vistele mie esperienze dirette).
Pensare che gente del genere possa scrivere parole semplici, gentili e che tutti capiscono, mi sembra impossibile.
Prima dovrebbero cambiare valori, mission, faccia, logo, modo di fare, atteggiamento. Poi, solo alla fine, potrebbero cambiare tono di voce.
Le parole sono spesso lo specchio di chi le scrive e queste parole ci mostrano esattamente chi abbiamo di fronte.
Cercasi disperatamente “coraggio, umiltà, sensibilità e anche un po’ di cultura manageriale”.
Luisa, grazie.
Davvero tanta tristezza.
Grazie Luisa, come spesso mi succede leggendoti, divento più responsabile delle parole che uso.
Semplificare e andare al punto! Uno scusa + grazie doverebbe essere il cocktail più facile da preparare per scusarsi, in effetti… Lo userò anche io di più, spero.
questo articolo è semplicemente bellissimo. grazie.
Magistrale articolo, Luisa.
“Tutti a sQuola” direbbe qualcuno.
Grazie mille
cz
Bellissimo e sacrosanto commento. E cosa dire della frase riguardo la possibilità o meno per i bambini di uscire? Che tristezza…
Grazie Luisa, e salute e buone cose a tutte/tutti.
Le parole sono importanti, ma non per tutti. Riflessioni di alto valore, Luisa, di cui tenere conto quando si mettono le mani… sulla tastiera.
Il “sorry-reflex” o la “reflex-apology”, come li definisce la socioantrolopa inglese Kate Fox, non appartengono alla nostra cultura, cara Luisa. Di rado ci si sente chiedere scusa, che sia da un amico o da una istituzione pubblica.
Riflettevo sul fatto che la comunicazione, e le parole di cui si nutre, mai come in questo momento deve essere umana, premurosa, calda. Constato con piacere che almeno le aziende private, come le banche e le assicurazioni, quelle di cui mi servo, sono riuscite a scegliere le parole adatte a questo momento. Ti dirò: mi sento una di famiglia, alla pari.
Grazie per le tue riflessioni, ancora una volta attuali e… puntuali!
Un saluto a tutti, con la speranza che lo stop momentaneo sia generatore di uno sguardo rinnovato sulla vita.
Marinella Simioli
Avevo appena finito un’esercizio di riscrittura collettiva proprio di quel testo, in un webinar di stamattina, che una collega e uno studente mi hanno segnalato la tua analisi. Puntuale come al solito, il tuo articolo andrà ad arricchire i casi di studio della gestione comunicativa di una crisi per i nostri studenti della Sapienza. Grazie.
Ai tanti che qui e altrove stanno “accusando” l’Inps, vorrei dire che i primi a sentirsi mal rappresentati da quel comunicato sono proprio i lavoratori dell’Inps che stanno facendo il possibile e oltre per garantire la continuità dei servizi e la tempestività di erogazione delle recenti nuove forme di sussidio. Il possibile e oltre, in ufficio e da casa.
Siamo parte di un tutto: e questa emergenza globale ce lo ha reso evidente in maniera spietata. Non scagliamoci gli uni contro gli altri. Ne usciremo solo insieme.
Sono arrivato qui dalla citazione fatta da Mantellini, che devo ringraziare perché altrimenti non avrei letto questo capolavoro.
Luisa, se dovessi un giorno avere questi problemi non dimenticherò questi tuoi preziosi insegnamenti!
mi sono occupata per 25 anni di comunicazione nella pubblica amministrazione e conosco bene il problema per averlo combattuto giornalmente. il fatto è che la professionalità in questo campo non viene riconosciuta ed impera il fai da te. La stragrande maggioranza dei dipendenti ha appreso questo tipo di comunicazione top-down dai capi e la condivide perché la sua spersonalizzazione è rassicurante. purtroppo i primi a non credere nell’importanza della comunicazione pubblica sono i manager, che solitamente affidano questo ruolo sulla base di criteri che poco hanno a che fare con la competenza . grazie per questo bel post, spero che faccia riflettere più di una persona
Grazie infinite Luisa. Sei un faro luminoso e rassicurante.
Ciao Luisa, sei una persona intelligente e disposta al confronto per cui so che reagirai con maturità a quello che scriverò. Capisco la situazione estremamente delicata per tutti, ma credo che la comunicazione dovrebbe essere differente per ciascuna attività svolta. L’Inps è un Istituto nazionale e in quanto tale la comunicazione deve essere professionale. La modifica che suggerisci tu sembra il testo scritto su un foglio di carta appeso alla saracinesca di una bottega in fallimento. Inutile far leva sulle scuse in questo periodo, le nota solo chi vuol fare moralismo. Che ce ne facciamo delle scuse, sinceramente?
Ciao Luisa, mi hai fatto venire la pelle d’oca. Una bellissima riflessione, speriamo che la comunicazione (anche) della pubblica amministrazione possa crescere e diventare più coraggiosa, umile e sensibile. Grazie
Grazie.
M.
Lucido e puntuale
Grazie Michela, Federico, Mattia d’avermi avvertito. Sì, c’è un apostrofo di troppo nel mio precedente commento, ma non è possibile correggerlo. E quindi? Rimane lì!
Hai messo nero su bianco esattamente quello che ho pensato anch’io leggendo quel testo. In questo Frankenstein di parole inutili messe insieme dall’Inps, davvero quell’apostrofo sulla u fa tenerezza. Grazie Luisa per questa riflessione.
Alessandra
Il linguaggio è uno degli elementi più fluidi della comunicazione umana, cambia continuamente. Eppure, quello burocratico, ma anche alcune tipologie espressive con le quali ci stiamo confrontando in questi giorni, sembrano non considerare per niente il fatto che, dall’altra parte, ci siano nient’altro che persone, con cuore e sentimenti. Il linguaggio che appartiene alle norme, alle leggi, è il solo a non aver considerato la forza evocativa ed empatica delle parole.
Bellissimo articolo.
La semplicità di cui ci ha dato splendida lezione Calvino è proprio quello di cui c’è più bisogno.
Grazie Luisa, come sempre illuminante!