Un paio di settimane fa ho fatto una bellissima esperienza in un Comune : ho condotto un laboratorio di scrittura per migliorare le risposte alle segnalazioni che i cittadini inviano attraverso un’app. Migliorare voleva dire dare risposte chiare, elaborare lo stesso tono di voce da parte di tutti gli uffici, far sentire ai cittadini che l’amministrazione risponde con cura e attenzione, apprezzare le proposte ma “rimettere a posto” con garbo e autorevolezza chi protesta con maleducazione, spesso a torto.
Per me che vivo in una città dove i cittadini non li ascolta proprio nessuno, una cosa che sa di utopia. Mentre analizzavo la mole di testi e poi in aula, ero quindi un po’ invidiosa, ma mi è piaciuto rispecchiare nella forma un’attenzione ai cittadini e alle loro vite che ho sentito molto autentica attraverso le persone competenti e appassionate con le quali ho condiviso la giornata. Eppure so che non è un unicum, perché già tre anni fa avevo fatto la stessa cosa in un altro Comune della stessa regione, l’Emilia Romagna.
Nel riflettere sulle risposte e poi nel riscriverle, abbiamo considerato chi scriveva, come scriveva e imparato a leggere nelle loro parole intenzioni, timori, aspettative. È abbastanza stupefacente constatare come le persone, quando si rivolgono a un’amministrazione, adottano due modalità opposte: si lasciano andare a una scrittura “orale”, cioè scrivono proprio come se parlassero, anche senza punteggiatura, oppure assumono un sussiegoso tono burocratico:
“Si trasmette la presente per rendere noto a codesto Comune uno spiacevole disservizio, sul quale è gradito un cortese e celere riscontro”.
Ciò autorizza l’obiezione classica da parte degli uffici: “Ma se scrivono così, anche noi dobbiamo rispondere sullo stesso tono. Siamo pur sempre il Comune! Mica possiamo scadere…”
Ecco, il burocratese è ancora considerato alto e autorevole, il tono più semplice e naturale invece di serie B. Non è così: se una cittadina scrive come il più incallito dei burocrati è solo perché vuole essere presa sul serio e quindi adotta di istinto il “linguaggio del potere”, come Gianrico Carofiglio chiama la lingua della burocrazia, insieme a quella dei giuristi e dei politici:
La chiarezza dovrebbe essere un requisito di tutti i tipi di scrittura che abbiano una destinazione pubblica.
Lo scrive in Con parole precise. Breviario di scrittura civile.
L’amministrazione che risponde in modo preciso, ma naturale, usando parole di tutti i giorni, non banalizza il contenuto, né svilisce il suo ruolo, ma prende l’iniziativa di cambiare le regole del gioco. Questa, insieme alla precisione, è vera autorevolezza. Come se dicesse: “Come vedi, ti rispondiamo con cura ma senza paroloni. La prossima volta puoi farlo anche tu”.
Che vuol dire “senza paroloni”? Vuol dire, per esempio, scrivere:
Grazie della sua proposta per il volontariato antiplastica: è originale e interessante. L’ufficio Ambiente la esaminerà per verificare se è praticabile e potrebbe contattarla per approfondire.
invece di:
In merito alla proposta da lei inviata, le significhiamo di averla passata all’ufficio di competenza per verificarne l’effettiva praticabilità. Qualora si rendessero necessari approfondimenti, sarà cura del medesimo ufficio prendere contatti con lei.
I nostri colleghi anglosassoni, che su queste cose hanno non solo studiato ma soprattutto testato molto più di noi, ci invitano a liberarci per sempre di complessi e timori inutili e di metterci decisamente in sintonia con le persone, il loro linguaggio, le loro aspettative. Valga per tutti quel capolavoro collaborativo che sono le Readability Guidelines, Content Design London, progetto coordinato dalla star dell’usabilità dei siti pubblici Sarah Richards (non fermatevi alla superficie, la cosa fantastica è la Usability Evidence: bibliografia di approfondimento in ogni pagina-tema).
Mentre riflettevo a questo post, ne ho letto un altro che mi ha fatto capire quanto i britannici siano avanti, perché si preoccupano della precisione e della chiarezza anche a costo di apparire ineleganti. Lo ha scritto Lisa Vozza, una divulgatrice scientifica che per me è un modello di grande scrittura (ne ho scritto anche qui). Pubblicato su un blog del sito Zanichelli, si intitola Come scrivi chiaro, Sistema sanitario britannico!
Il NHS ha scelto un linguaggio molto “terra terra”. Per esempio, nella pagina che parla dei cambiamenti che può subire un neo, preferiscono l’aggettivo “screpolato” o “sanguinante” a termini medici come “ulcerazione” o “comparsa di essudato”.
Quel linguaggio terra terra è una scelta precisa, praticata con convinzione, apprezzata dal cittadini perché li rassicura e li rende più consapevoli:
Un paziente che capisce è un dono per tutti. Epidemie a parte (sperando che restino rare), la maggior parte delle malattie occidentali è cronica e a lungo termine. Più i malati comprendono e meglio sono in grado di prendere cura di se stessi.
Un linguaggio sincero ma rispettoso:
Incurabile? Preferiscono dire che una malattia non si può ancora curare, perché il prefisso in-, a differenza di un-, può non essere immediatamente comprensibile. Soprattutto, “non si può ancora curare” è un modo più delicato e meno brutale di dire la stessa cosa.
È un post pubblicato su un blog per insegnanti di scienze ma che vorrei veder circolare in enti e amministrazioni pubbliche perché fa capire quanto le scelte linguistiche possono esprimere umanità e civiltà.
Italo Calvino ce lo aveva detto già sessant’anni fa nel suo saggio sull’Antilingua, il burocratese di “chi scrive ho effettuato perché ha paura di scrivere ho fatto“:
La lingua vive solo d’un rapporto con la vita che diventa comunicazione, d’una pienezza esistenziale che diventa espressione.
Sarà arrivato il momento di riconnettere senza indugi la scrittura delle amministrazioni pubbliche alla vita?
In America è legge https://www.plainlanguage.gov/law/
Io ho lavorato vent’anni nella PA. Ho combattuto la mia personale e silenziosa battaglia contro il burocratese cercando di scrivere comunicazioni e atti chiari, semplici, comprensibili. La cosa divertente (divertente si fa per dire) è che più di una volta colleghe esperte e superiori hanno corretto le cose che scrivevo (soprattutto all’inizio, quando avevo meno autonomia) dicendomi espressamente: “così non va bene, è troppo chiaro”!
Sono una giornalista e per 25 anni sono stata responsabile dell’ufficio stampa di un Comune, proprio in Romagna. Questo è un tema su cui rifletto da molto tempo e che mi appassiona. Mi è capitato più volte di dover predisporre un comunicato partendo da una delibera e ho sempre cercato di ‘tradurne’ il contenuto ricorrendo a un linguaggio più familiare e comprensibile. Alle persone che lavoravano con me raccomandavo di evitare un pigro copia – e – incolla (che rende vano il nostro lavoro), ma di cercare di costruire i testi mettendo al centro le persone in carne e ossa: le scelte di un Comune, come di qualsiasi pubblica amministrazione, incidono moltissimo sulla vita dei cittadini e cercare di spiegarle in modo accurato, ma con un linguaggio semplice e chiaro è il modo migliore a disposizione di una Pubblica Amministrazione per instaurare un rapporto di fiducia e rispetto reciproco con i cittadini. Non sempre, però, sono stata ascoltata. Molti, infatti, sembrano pensare che per dimostrarsi più vicini ai cittadini basti cambiare il canale di comunicazione, pubblicare qualche post in più su Facebook (il social preferito dalla PA, a quanto pare), ma senza una vera cura del linguaggio. Così, nonostante i tentativi di essere più alla mano, è tutto un fiorire di ‘in ottemperanza all’ordinanza…’, ‘eventi calamitosi’, ‘emergenze paesaggistiche’ (nel senso che emergono nel paesaggio) ecc.
A onor del vero, ci sono anche molte Amministrazioni attente a questo tema e che sul web stanno facendo un ottimo lavoro. Ma, insomma, c’è ancora molto da fare.
Un curiosità: qual era il Comune dove si è svolto il corso?
È il momento da tempo, direi. Gli anglosassoni hanno dalla loro anche una lingua naturalmente sintetica e chiara, anche se non povera, come alcuni credono. Il modo pomposo e ingessato di esprimersi della PA sembra mostrare una debolezza, oppure la volontà di mantenere le distanze, cosa che spesso non corrisponde alla realtà, ma crea comunque un danno nel momento in cui fa sentire al cittadino che i servizi non sono lì per lui, ma è lui a essere “sottoposto” ai servizi. Quindi ben venga il cambiamento, che è già in atto.
Grazie dei vostri commenti. Sì, l’aria sta cambiando per fortuna 🙂
Il Comune è Cesena, l’altro Cervia. Posso nominarli perché devono essere davvero orgogliosi di quello che fanno e per come lo fanno.
Luisa
Lavoro nella PA in quel comparto meraviglioso, ma insieme difficile, che è quello del Patrimonio Culturale. Qui la difficoltà è doppia, perché oltre al tono di voce, che cerco di mantenere il meno burocratese possibile – anche perché io stessa al burocratese ancora non mi sono abituata – c’è la necessità spesso di voler parlare di quel patrimonio culturale senza tenere un livello scientifico che inevitabilmente allontana, ma allo stesso tempo senza banalizzare. Spesso, mi rendo conto, c’è una sottilissima linea tra l’incomprensibile e il banale, anche perché il banale spesso sconfina, per troppa semplificazione, nell’errore.
Buonasera, mi permetto di commentare solo perché mi trovo dall’altra parte della “barricata” ovvero da chi sviluppa una piattaforma per un cliente come può essere una PA, o altro ente pubblico.
A volte le risposte per così dire distaccate, fredde e impersonali sono dettate esclusivamente da un problema di costi.
Mi spiego meglio. Per produrre una risposta automatica ad una mail è più conveniente farne una uguale per tutti che non contenga una definizione specifica del reparto o dell’area di competenza. In particolare personalizzare una risposta mail significherebbe moltiplicare i costi di sviluppo e manutenzione della piattaforma perché per ogni dettaglio da indicare nella mail occorre mettere un segnalibro dedicato e gestirlo: + segnalibri=+dettagli =+costi.
Quindi, per una PA, ciò non sarebbe fattibile e si preferisce utilizzare una frase standard e impersonale. Senza segnalibri.
Purtroppo è così per la maggior parte dei casi. Ovvio che ci sono le eccezioni.