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risali negli anni

28 Settembre 2019

Per salvare le parole, (audacemente) usarle

Acribia, ammaliare, anelare, brama, brioso, diletto, dovizioso, esuberante, facondia, fugace, minuzia, nitore, opulenza, parvenza, rigoglio, sarabanda, scialare, scorrazzare, serotino, sfavillare, smagliante, sprone, sviscerare, vagheggiare, velleità, vivido, voluttà…

Sono solo alcune delle 3.126 parole sempre meno usate che il vocabolario Zingarelli 2020 contrassegna con un fiorellino e che la Zanichelli porta in tour con l’hashtag #paroledasalvare in alcune città italiane, nell’ordine Milano, Torino, Bologna, Firenze, Bari e Palermo.

Nell’Area Z, “zona a lessico limitato”, un’installazione a forma di gigantesco Zingarelli aperto aspetta i “salvatori”, che potranno scegliere la loro parola, condividerla sui social con il loro significato, oppure portarsi via una cartolina con la parola che decidono di adottare, inserita in una delle immagini evocative e surreali che la casa editrice pubblica ogni giorno sul suo account Instagram.

#paroledasalvare: l’allarme sui pericoli di attingere a un vocabolario sempre più ristretto è fondato. L’anno scorso una metà abbondante di italiani non ha aperto nemmeno un libro e a leggere i giornali è ormai solo un’élite. Con poche parole si sopravvive, certo, si vivacchia, ma non si vive una vita ricca e piena perché non riusciamo ad allineare l’espressione alle intenzioni, a concepire pensieri alti e ad articolare ragionamenti convincenti, quindi a comunicare e raggiungere ciò che desideriamo.

Fin dal medioevo il dizionario è chiamato anche thesaurus. Perché avere un vocabolario ricco è proprio come possedere un tesoro: possiamo spenderlo senza mai ridurlo.

L’ho scritto alla fine di Paroline & Paroloni, Attingere a piene mani al tesoro del vocabolario, il libro della collana Chiavi di scrittura che ho pubblicato l’anno scorso con Zanichelli.

Un’altra iniziativa di questi giorni dedicata alle parole che rischiamo di mettere da parte e non usare più è la rubrica con lo stesso titolo Parole da salvare che il linguista Massimo Arcangeli tiene sul Post. Esordisce così:

“Abbiamo sempre più bisogno di sfumature che insegnino a distinguere, e in questo le parole aiutano”

Il professor Arcangeli – da anni iperattivo sui social, una vera eccezione nel mondo accademico – ha ragione e sa di cosa parla. Ora che tutti scriviamo su tanti strumenti e canali diversi, per mille ragioni diverse, per raggiungere i nostri obiettivi o semplicemente per farci ascoltare, abbiamo bisogno di mille sfumature, di piccoli scarti, di aggiustamenti continui del tono di voce che passano soprattutto attraverso la scelta delle parole. Più ne conosciamo, più ne usiamo, più potere abbiamo.

Per la rubrica del Post il nostro professore ha scelto 30 parole, da abulico a veemente: ne analizza, sviscera e racconta una alla settimana. Vi trovate già becero, afflizione e uggioso. Sono racconti che ci portano molto indietro nel tempo, all’origine della parola, ci fanno conoscere tante altre parole che stanno attorno alla protagonista o ci proiettano in altri ambiti grazie al potere associativo della parola prescelta (che meraviglia la prima copertina di Una giornata uggiosa di Lucio Battisti!).

Se i dotti e briosi racconti non vi bastassero, ci sono sempre le Parole giuste dell’anno scorso. Sempre di Massimo Arcangeli, sempre sul Post.

Intensamente immersa in tante parole da salvare, pensavo che leggerle, analizzarle, approfondirle, sceglierle e diffonderle sui social non bastasse. No, per salvarle davvero, almeno un po’, e farle nostre, bisogna usarle. Non come una buona azione, ma come un’azione utile, che ci porta attenzione, ascolto, memorabilità.

Sono sempre stata fautrice – nei post di questo blog, nei miei libri, nei testi che scrivo per i clienti – di una leggera ma decisa “spruzzatina” di ricercatezza linguistica. Anche, soprattutto, in un testo limpido e semplice, la spruzzatina fa la differenza: si fa notare, incuriosisce, parla di orginalità e di cura.

Una consulente come Miriam Bertoli così si definisce sulla home page del suo sito:

Costruisco strategie di marketing digitale, mettendo al centro i contenuti. Faccio consulenza, formazione, divulgazione. Con garbo.

Garbo è una delle 3.126 parole da salvare dello Zingarelli 2020. Nella presentazione di Miriam, così isolata nella breve frase finale, è il suggello di un modo di essere e di lavorare fatto di attenzione ed educazione forse un po’ d’altri tempi, ma come sta bene e come distingue dagli altri una professionista del mondo digitale!

La newsletter domenicale della psicoterapeuta Nicoletta Cinotti si intitola Con grazia e grinta. Grinta è parola con fiorellino, qui “salvata” dalla felicissima ripetizione gr- iniziale delle due parole che divergono e al tempo stesso si completano.

Anche acribia sullo Zingarelli ha il fiorellino. Alla fine di Lavoro, dunque scrivo! ringraziai la mia “acribica editor”. Un aggettivo che da solo bastava per indicare, tutte insieme, le doti di precisione e accuratezza scrupolosa.

Vivido e vividezza, poi, spero non scompaiano mai e poi mai, perché sono per me tra le principali doti di un testo che funziona. Uso aggettivo e sostantivo in continuazione nei miei laboratori perché un testo vivido è un testo che popola il “teatro mentale” dei lettori di immagini che colpiscono e non si dimenticano più.

Il primo capitolo di Paroline & Paroloni si intitola Una scrittura smagliante (fiorellino anche qui).

E sono andata in brodo di giuggiole quando le amiche del Digital Update hanno scritto che il mio corso ha un preludio video. Non è più promettente, poetico e musicale di “intro”?

Di parola in parola, di fiorellino in fiorellino, mi sono divertita a immaginare quali parole da salvare si potrebbero felicemente spruzzare nei nostri testi professionali, sui siti, sui social, sulle brochure o nelle newsletter. Certo, difficile oggi riuscire a usare una parola come cicisbeo o scevro, ma moltissime altre introdurrebbero quel piccolo elemento inaspettato di originalità che stacca il testo da tanti testi simili.

Abluzione per terme, spa, centri benessere.

Irradiare è un verbo bellissimo e positivo, cui possiamo accostare sostantivi di tutti i tipi, con effetti diversi.

Ardimento, ardimentoso, intrepido, temerario per attività sportive estreme.

Rinverdire per corsi e competenze.

Aborrire o idiosincrasia quando presentandoci raccontiamo quello che ci piace e quello che non ci piace.

Affabile, cordiale, premuroso, sollecito per lo staff di un hotel.

Affastellare, assiepare, carabattole, ammennicoli, cianfrusaglie, sfrondare in un post su minimalismo e decluttering.

E ogni tanto non potremmo sostituire il logoro sorprendere (“Lasciati sorprendere…)” con allettare, ammaliare, strabiliare, stupefare?

Abbondanza ha due belle alternative in profusione e tripudio.

Invece di suggerire e raccomandare, se per una volta caldeggiassimo?

Un percorso può essere sì articolato in e costituito da, ma anche scandito e costellato

… mentre i successi possono essere anche inanellati.

Quintessenza esprime la caratteristica essenziale, la natura intima e ultima del vostro prodotto, servizio, consulenza.

Il vostro business può essere florido, fiorente, persino rigoglioso. E il suo  futuro radioso.

Appagare è qualcosa in più, ma potrebbe spesso sostituire l’onnipresente soddisfare.

Delizia, leccornia, manicaretto, luculliano, prelibato stanno tutti bene nel sito di un ristorante o in un blog dedicato al food.

Se promuovete un corso di public speaking potreste azzardarvi a promettere eloquenza e facondia.

Vabbé, ho giocato. Ma non vi è venuta voglia di spruzzare (moooolto parsimoniosamente) un po’ di ricercatezza linguistica sui vostri testi? Con parole non strambe, non bizzarre, non stravaganti, ma eccentriche e un po’ estrose forse sì.

11 risposte a “Per salvare le parole, (audacemente) usarle”

  1. La voglia mi è venuta, eccome, cara Luisa, di disseminare briciole di ricercatezza nella lingua che uso, quando parlo e scrivo. Ormai è diventata una irrinunciabile ginnastica mentale quella di scoprire, memorizzare, archiviare e ripescare ogni volta la parola salvifica, quella che mi evita la fatica di accatastarne tante per voler dire una cosa sola.

    Sfoggiarne qualcuna, anche durante una conversazione disimpegnata, mi diverte e sorprende chi mi sta di fronte. Riesco a percepirne lo stupore ammirato.

    Se è vero che il tempo è poco e la comunicazione corre veloce, tanto più ci serve un vocabolario preciso e affrancato dagli appiattimenti. Disponiamo dell’italiano, una delle lingue più ricche e musicali al mondo. Sarebbe un vero peccato privarsi delle sue infinite sfumature.

  2. p.s. ho letto tutti i tuoi libri, Luisa, che consiglio per la estrema nitidezza espressiva. Senza ridondanza. Da quando ho iniziato a seguirti il mio uso della lingua è diventato più consapevole e attento.
    Buona lettura a tutti!

  3. E che ne diresti di utilizzare impresa al posto di “business”, cibo invece di “food”, magari pure personale di un albergo anziché “staff di un hotel” e chi più ne ha più ne metta?

    • Certo, Monica, si potrebbe, ma io ho paura del purismo eccessivo così come dell’eccessivo ricorso all’inglese. “Food” è ormai una categoria e “Personale” non evoca la stessa idea di “staff” 🙂
      Luisa

  4. “Ai posteri l’ardua sentenza”: noi possiamo scegliere, di volta in volta, chi e cosa preferire.
    Un grande vantaggio. A me piacciono “Staff” e “Food” (più brevi e veloci, e ormai consolidate), ma spesso non mi piacciono le persone
    (e il contesto) che le usano.

  5. Non si tratta affatto di purismo eccessivo. La questione è: perché usare termini stranieri quando ce ne sono di italiani che rendono benissimo l’idea? Quelli che ho elencato io, ad esempio, non sono nient’altro che prestiti cosiddetti “di lusso”, cioè non sono per niente indispensabili, ma accessori e vengono utilizzati a discapito dei corrispondenti italiani. Cos’è questo se non eccessivo ricorso all’inglese di cui parli?

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