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risali negli anni

7 Settembre 2019

Le parole per farlo (il podcast)

Da anni i podcast mi incuriosiscono, ne riconosco gli indubbi vantaggi, me li annoto, mi ripropongo di ascoltarli, poi raramente lo faccio, o comincio e poi li lascio a metà.

Ho con l’audio uno strano rapporto. Trasmissioni radiofoniche sì, audiolibri molto raramente, articoli di giornale decisamente no. Non mi ci sono mai troppo soffermata, ma in fondo so perché: nella lettura il ritmo lo dai tu, nell’ascolto devi seguire quello di qualcun altro e questo può dare molto fastidio. A me, che mi distraggo facilmente e ho scarsa memoria, lo dà. In più:

  • l’articolo di giornale, scritto per la lettura, è fatto quasi sempre di periodi lunghi, che difficilmente sono adatti per l’ascolto, soprattutto gli editoriali, che più spesso vengono affidati a uno speaker
  • il racconto o il romanzo mi impongono la voce di un attore, che quasi sempre interferisce con la mia immaginazione; anche quando l’attore o l’attrice sono bravissimi mi “inquinano” in un certo modo l’ascolto; per seguire bene le vicende a volte vorrei tornare indietro, una cosa istintiva e facile nella lettura, impraticabile nell’ascolto.

Fanno eccezione le trasmissioni radiofoniche fatte bene, perché appunto sono state concepite solo per l’ascolto. Wikiradio di Radio3 è una di queste, non ne ho mai abbastanza.

Per cui, quando ho cominciato ad ascoltare la serie di podcast di Annamaria Anelli Le parole per farlo mi sono stupita subito di come mi prendessero fin dai primi minuti, tanto che mi sono ascoltata i primi quattro episodi uno dopo l’altro, trascinata proprio come in una serie tv. E non solo perché i temi erano assolutamente di mio interesse e perché comunque una cosa nuova che fa una tua amica hai voglia di seguirla con attenzione. No, è proprio che c’era qualcosa dentro, nel meccanismo con cui ogni episodio è stato costruito, che mi ha incollata e tenuta lì ad ascoltare tutto di fila mentre inaffiavo le piante e preparavo la cena.

Allora mi è venuta una tremenda curiosità di capirlo meglio, quel meccanismo. Ho deciso di riascoltare tutte e quattro le prime puntate e di concentrarmi unicamente su forma, stile, costruzione. Non è stato facilissimo, perché ogni tanto mi ha sovrastata l’emozione, ma la mia anima di editor è abbastanza forte e radicata da farmi tenere la giusta distanza di osservazione. Così sono emersi pian piano i princìpi che mi sono sembrati ispirare la scrittura per l’orecchio e che la rendono per alcuni aspetti così diversa dalla scrittura per l’occhio.

Non voglio raccontarvi troppo sui contenuti della serie. Bisogna ascoltarla su Storytel (14 giorni di prova gratuita). Vi basti il sottotitolo: “Come raccontarsi quando si cerca lavoro o si vuole avviare una collaborazione professionale”. E i titoli delle sei puntate:

1 – Come raccontarsi
2 – Raccontare senza le frasi fatte
3 – Raccontare la maternità
4 – Raccontare il fallimento
5 – Raccontare la fragilità
6 – Raccontarsi al lavoro

La formula è quella delle interviste, forse la più diffusa nel mondo professionale. Il modo di realizzarle, cucirle, intrecciarle, proporle è però tutto diverso dal classico domanda – risposta – domanda – risposta, con un po’ di tagli nei punti di stanchezza, incertezza, ripetizione. È una vera “tessitura”, ma fatta di intrecci insoliti , di attenzioni e disegni abbastanza diversi da quelli di un testo destinato alla lettura:

L’IDEA

Ogni episodio ha un tema e l’autrice parte alla sua scoperta insieme agli intervistati, ma lo fa con una sua idea, un suo obiettivo in mente. Un obiettivo che non impone agli interlocutori, ma che la guida saldamente lungo la mezz’ora di ogni episodio. Questo contribuisce molto alla compattezza, alla coerenza e alla armonia di ciascuno.

Lezione: il podcast, che ci sia una sola persona che parla o che interroghi o stimoli qualcuno, non è una scorciatoia per produrre un contenuto in velocità, affidandosi a qualcun altro, ma richiede la sua idea di fondo, intorno alla quale ci si deve preparare, e benissimo.

L’INIZIO

Ancora una volta, come si comincia è tutto, ma in un podcast ancora di più. Annamaria sceglie quasi sempre di spiazzarci facendo parlare qualcun altro, che ci sorprende perché non sappiamo chi è né dove andrà a parare. Lo scopriremo solo dopo, al momento giusto, e questo intanto ci tiene lì, curiosi, con la voglia di saperne di più.

Lezione: qui la piramide rovesciata, caposaldo della scrittura sul web, non funziona: meglio prima un piccolo mistero, un dettaglio, un indizio, una voce che si insinua; la famosa informazione più importante è il premio finale, il disegno che si compone minuto dopo minuto fino all’ultima parola.

VERBA VOLANT

Se le parole volano, a volte può essere veramente difficile star loro dietro. In Le parole per farlo questo non succede mai, non mi sono persa un concetto, un dettaglio. Al secondo ascolto mi sono resa conto perché. Annamaria crea momenti di decelerazione e di pausa, solo che non lo fa col vuoto, ma con le parole. Per esempio:

  • riprende un’informazione o un’idea espresse dall’intervistata (sono in maggioranza donne, ma non solo) e da lì riparte, magari spiegandola, interpretandola, riformulandola
  • pronuncia brevi frasi che interrompono il susseguirsi di informazioni, come per assicurarsi che la stiamo seguendo: “Fin qui tutto bene, e ora?”, “Bene, andiamo avanti”, “Cosa intende dire Davide?”, “Dite che basta? Ah, no!”; chi ascolta ha modo di fare il punto insieme a lei, la mente riposa un attimo prima di proseguire.

Lezione: il testo di un podcast può avere “maglie più larghe” rispetto a un testo destinato alla lettura, dove da editor ci preoccupiamo moltissimo di togliere tutte le parole superflue. Quando leggiamo, ci procuriamo da soli gli spazi e le pause di cui abbiamo bisogno; quando ascoltiamo è un lavoro che deve fare l’autore e mi rendo conto che ci vuole una enorme sensibilità per farlo bene.

LE RIPETIZIONI

Sorpresa: quelle ripetizioni che ci danno tanto fastidio in un testo scritto, in un podcast funzionano alla grande. Ripetizioni e riprese, di contenuto e di parole. Il motivo riguarda sempre quel correre incessante della voce, che non puoi fermare: se non ho colto a pieno un concetto, la ripresa dopo poco me lo chiarisce, la terza volta che torna lo capisco ancora meglio. Certo non con le stesse identiche parole, né con lo stesso ordine, ma è come se la linearità forzata dell’ascolto avesse ogni tanto bisogno di questo leggero voltarsi indietro. Su quel che vediamo possiamo indugiare quanto vogliamo, ma quando decidiamo di procedere oltre, chiudiamo dietro di noi la porta del paragrafo. Se l’autore ricominciasse con qualcosa che ha già detto, il testo ci sembrerebbe disordinato. Quel che ascoltiamo può ondeggiare molto di più e anche tornare indietro come la risacca del mare. Quel ritmo continuerà a piacerci.

Lezione: riprese e ripetizioni sono vere àncore per l’attenzione, anche quelle lessicali. Annamaria ama particolari parole, che la rappresentano e che dissemina lungo gli episodi; per esempio “scavo” o “traduzione”. La ripetizione non infastidisce, anzi crea familiarità.

IO E VOI

Annamaria si rivolge direttamente a chi ascolta in una forma di dialogo molto naturale, intima ma allargata. Si mette in gioco con la prima persona, ma si rivolge a una platea.

Lezione: se il “tu” trionfa su siti web e app, il “voi” mi è sembrata la persona ideale per un podcast.

TI LEGGO NELLA MENTE

Anticipare pensieri e obiezioni di chi ascolta: ecco un’altra cosa che rende un testo scritto superpedante, ma rende un podcast molto più facile da seguire. Annamaria abbonda con “Scommetto che questa storia comincia ad appassionarvi”, “Ah lo so che cosa state pensando adesso”, “E se ora vi state domandando…”. Frasi così le sforbicerei da ogni testo da leggere; nel podcast costituiscono piccole cerniere di passaggio tra un concetto e l’altro e una sorta di testimone che l’autrice passa a chi ascolta.

Lezione: se chi scrive per la lettura sa di avere un fruitore che non ama troppo le intrusioni, geloso della sua capacità e autonomia interpretativa, chi scrive per l’ascolto può essere più intraprendente nell’invadere lo spazio mentale del suo pubblico. Il suo intervento può anzi essere utile e gradito: con le cuffiette in testa è più facile distrarsi facendo anche altre cose.

UN PATCHWORK ARMONIOSO, IN CUI TUTTO TORNA

Mentre ascoltavo le prime quattro puntate di Le parole per farlo, provavo a immaginare quante ore di dialoghi, scritture e riscritture, che enormi quantità di parole ci fossero dietro quelle coerenti e compatte mezz’ore, in cui Annamaria sembrava muovere i fili con leggerezza e disinvoltura. Una enormità, di sicuro.

E allora un buon podcast mi è sembrato quanto di più lontano da una buona registrazione lineare. Al contrario, un raffinato lavoro di scelta, un accostamento di motivi, toni e colori, un ricucire paziente che danno vita a una creatura editoriale originale. Che parte da un’idea forte, ma in cui poi la creatività si esercita nella selezione e in cui il montaggio è tutto.

All’inizio della serie, Annamaria ci dice che “se è l’esperienza a dare sostanza a qualsiasi teoria, sono le persone in gamba a illuminarci il cammino”. E infatti vi incontriamo persone che fanno battere il cuore o che sono capaci di spiegare in modo limpido concetti sfuggenti. Ma è stata sempre lei a sceglierle. Quindi, chapeau!

3 risposte a “Le parole per farlo (il podcast)”

  1. Come al solito, cara Luisa, sei riuscita a tenermi incollata al tuo post, parola dopo parola. Non è solo quello scrivi, ma come lo scrivi, a catturarmi ogni volta.
    Nuovo e interessante, l’argomento podcast, di cui mi servo sporadicamente, ma che non avevo mai osservato dal punto di vista della scrittura che lo sorregge.

    Con una colpevole digressione sono andata con la mente alla sceneggiatura, dei film o delle serie. Quei dialoghi così apparentemente naturali, le mezze frasi, le smorfie e lo scambio di battute, sono stati concepiti e generati dalla mano di un autore, anche se sembra impensabile. Quello che, a quanto pare, avviene anche con il podcast di cui ci hai parlato.

    La scrittura riesce a inerpicarsi ogni volta su sentieri inaspettati e ci sorprende per la sua duttilità.
    Figlia inquieta della parola è la comunicazione, che prende forme sempre più sfaccettate.
    Scrivere è ormai un’arte oltre che un’abilità. E dire che c’è ancora chi pensa alla scrittura come a un semplice susseguirsi di parole, estratte a caso dal cilindro magico!

    Grazie ancora per i siti che hai segnalato: ci curioserò senz’altro!
    Buon lavoro a tutti
    Marinella Simioli

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