Lo spazio che lo Zingarelli dedica alla parola “avvertenza” è poco, appena dieci righe, se paragonato all’onnipresenza di questa parola nei testi che ci passano ogni giorno sotto gli occhi: metro, bus, treno, contratti, termini e condizioni, istruzioni per il montaggio, elettrodomestici, bugiardini dei medicinali, uffici pubblici, siti web.
La prima definizione è “cautela, prudenza”, seguono “ammonimento, avviso, consiglio”, per chiudere con “istruzione”. Cose soft, insomma. Niente che alluda in modo diretto al pericolo o all’insidia che invece spesso si nascondono dietro questa parola. In molti casi l’avvertenza è in realtà un “avvertimento” che “mette in guardia dal compiere azioni che potrebbero avere conseguenze spiacevoli”. Le conseguenze possono essere anche spiacevolissime, come nei caso dei farmaci o del ferro da stiro, ma “avvertimento” suonerebbe proprio brutto, da tanti punti di vista, con le sue evocazioni anche da intimidazione mafiosa. Così ci teniamo le nostre mille avvertenze, che possono diventare AVVERTENZE se il pericolo è serio, o moltiplicarsi una dietro l’altra quando sono tante (e così finisce che nessuno le legge più).
A volte l’avvertenza è semplicemente una cosa importante, che non dobbiamo saltare quando leggiamo. Allora, preferisco scrivere “Importante”, più esplicito e preciso e meno terrorizzante (spesso evitiamo di leggere proprio le cose che ci fanno paura). Se l’avvertenza è una sola, opto anche per “Attenzione” (più di una è come Pierino che grida “Al lupo, al lupo!). Se non è chilometrica, funziona bene anche un semplice grassetto, che si spicca e si legge al volo.
Lo avete capito: generica, burocratica, inflazionata, la parola “avvertenza” non mi piace e cerco sempre di trovare un’alternativa. Credo però che nel nostro linguaggio sempre più visivo, possiamo ormai affidare l’avvertenza a un simbolo, a un’icona che attiri subito l’attenzione e faccia fermare anche il lettore più distratto, soprattutto nei testi densi e fitti.
Purché non sia l’orribile triangolo stradale con il punto esclamativo. Un punto esclamativo cicciotto e amichevole? Un punto esclamativo dentro un cerchio? Un punto esclamativo dentro un callout da fumetto? Una manina che indica il testo da non saltare? Le due lineette verticali del segno “pausa”? Un bel paio di occhiali che dicano “almeno qui leggi”? Probabilmente possiamo sceglierne di diversi a seconda del tipo di testo, della sua lunghezza, del livello di attenzione che ci aspettiamo, del tono di voce che adottiamo. È verissimo e sacrosanto che i simboli devono essere immediati, riconoscibili da tutti, condivisi, ma a volte mi chiedo se in alcuni casi uno zic di “disfluenza cognitiva” non possa invece aiutare a farci leggere e ascoltare.
Cosa significa “disfluenza cognitiva”?
Un piccolo ostacolo che ci fa fermare, una frizione sulla strada della fluidità. Di solito cerchiamo di fare in modo che l’utente faccia tutto facilmente e senza chiedersi nulla, ma si può anche introdurre ad arte e consapevolmente questo freno alla corsa della lettura facile e leggera.
Grazie per l’ottima spiegazione.
“Avvertenze” è una parola che mi provoca da sempre idiosincrasia perché contiene i germi della supponenza e del monito. E a nessuno piace esserne destinatari passivi.
Decisamente opterei per simboli intuitivi o per il grassetto, come suggerito da te, cara Luisa, così da veicolare il messaggio in modo immediato e piacevole.
Marinella Simioli
Grazie come sempre, Marinella!
Ciao Luisa, sì il mondo delle “avvertenze” è in realtà un universo. Ha le sue leggi, le sue dinamiche e ci sono tanti butterfly effect!!
Scrivere per la sicurezza è un mestiere a volte rognoso che in alcuni settori dà spazio alla creatività e permette di inventarsi qualcosa per attirare l’attenzione del lettore ma in altri settori richiede di essere conformi.
Quando c’è di mezzo la sicurezza della persona occorre organizzare, illustrare e scrivere le avvertenze seguendo delle norme pubblicate da enti di standardizzazione internazionali.
Per esempio, il triangolo è un simbolo normato, ma proprio per questo è conosciuto in ogni angolo del mondo. Il cerchio blu ha un altro significato ancora, ecc ecc.
La sfida si complica perché dobbiamo seguire le norme ma come hai detto tu senza far diventare queste avvertenze qualcosa che l’utente salta a pié pari perché sente distanti e non sue.
Per esempio ti racconto l’aneddoto di un utente che durante un test di usabilità di un manuale di una delle “macchine” più pericolose del mondo saltava tutte le avvertenze.
Alla conclusione del test gli ho chiesto il motivo, e lui candidamente ha risposto: “Sono scritte dal fabbricante sono per pararsi il …., sono fuffa, scritte in un linguaggio burocratico dove non si capisce niente!”.
Ecco. Questo è il problema soprattutto in Italia. Istruzioni scritte male, in “burocratese”, giusto per “pararsi” hanno creato un modello mentale negativo negli utenti difficilissimo da modificare.
Istuzioni chiare e speriamo come hai detto tu anche attraenti, sono sempre consultate volentieri perché scritte proprio per chi legge.
Grazie Vilma.
Il contributo di un’esperta come te è preziosissimo.
Quello che scrivi sulla sicurezza è verissimo, ma penso che in documenti testuali come contratti e altro possiamo provare a prenderci qualche licenza 🙂
Questa tua nota, Luisa, è bellissima. Ho immaginato anche io come rappresentare “l’avvertenza”. Già, perché come scrivi, le immagini ci aiutano di più. Allora, senti un po’ un occhio in un cerchio?
Su Google ci sono molti esempi di AVVERTENZA come immagine, compreso il tuo con gli occhiali.
Grazie, alla prossima 🌸
Questa tua nota, Luisa, è bellissima. Ho immaginato anche io come rappresentare “l’avvertenza”. Già, perché come scrivi, le immagini ci aiutano di più. Allora, senti un po’… un occhio in un cerchio?
Su Google ci sono molti esempi di AVVERTENZA come immagine, compreso il tuo con gli occhiali.
Grazie, alla prossima 🌸