Un libro è un libro. Anche in questi tempi di testi-frammento. Soprattutto in questi tempi di testi-frammento. Anzi, proprio lì ti aspetti una struttura chiara, rigorosa, un’architettura percorribile in tutte le direzioni, ampia, con tanti punti di ingresso, ma in cui non ti perdi mai, anche dopo aver fatto su e giù, girato in lungo e in largo.
Se poi questo libro è organizzato palesemente come un’architettura, allora è proprio il massimo. Quello che mi sono goduta in questi giorni, che mi attirava più di un giallo o un noir e che sono riuscita a finire nonostante i mille impegni di lavoro, ha 3 piani, 15 sale e 60 oggetti. La prima e l’ultima espongono due oggetti che hanno contato molto nella mia vita: due motorini, un Sì e un Ciao.
Con Il museo della lingua italiana, Giuseppe Antonelli quel museo di cui auspica la costituzione lo ha già costruito. È maestoso, ordinato, portatile. Pieno di oggetti, personaggi, storie. Con un’audioguida – la sua voce narrante – che rimane sempre alta e amichevole, senza un cedimento di stanchezza lungo più di 300 pagine. Il divulgatore radiofonico e televisivo e il linguista Antonelli sono tutt’uno. Sa tenerci incollati alle pagine quando parla di Francesco Petrarca, Pietro Bembo, Don Milani. Merito anche di quella struttura rigorosa, che obbliga a variazioni continue al suo interno.
Mi ha ricordato altri libri “decisivi” per me: La storia del mondo in 100 oggetti di Neil MacGregor, Critica portatile al visual design e Cromorama di Riccardo Falcinelli, tanti racconti che ne compongono uno unico, alla fine grandioso.
Gli incipit di ogni capitolo sono da manuale, sorprendenti e vividi. Non puoi far altro che continuare a leggere:
Siamo pronti per cominciare il nostro viaggio nella lingua italiana? Il modo migliore per partire è proprio pronunciare un bel sì. Perché è dal quel sì che la lingua italiana ha cominciato la sua storia.
Davanti a un’immagine come questa, guardando le figurine che popolano la parte bassa dell’affresco, ci viene subito in mente una domanda: ma nel medioevo esistevano già i fumetti?
Ora girate pagina e guardate bene questo signore. Il suo viso scavato, lo sguardo altero, la folta barba bianca e il naso affilato. Lo riconoscete? Vi sembra di averlo già visto? Immagino di no. Eppure, è stato un personaggio straordinario.
Chi siete? Cosa fate? Cosa portate? Sì, ma quanti siete? Un fiorino! La scena è di quelle indimenticabili. Il film è Non ci resta che piangere, un film tutto da ridere con due attori straordinari come Roberto Benigni e Massimo Troisi.
Oh, finalmente un attimo di riposo! Così avrà pensato qualcuno vedendo questo bel divano. E invece no, proibitissimo sedersi. Perché anche il divano è, appunto, un pezzo da museo: un bel sofà del Settecento.
Tra le tante cose di cui si vantava Gabriele D’Annunzio, c’era quella di aver usato nelle sue opere quarantamila parole diverse. Lo stesso Dante – notava con modestia – non era andato oltre le diaciassettemila.
Argh! A Paperopoli mancano le parole. Improvvisamente, la città è sprofondata nel “mancaparolismo”. La colpa è tutta di Zio Paperone, o meglio: del computer Kapoccion da lui acquistato per realizzare il superdizionario interattivo di tutte le lingue del mondo.
E siccome il mondo è pervaso di parole, a partire da quelle dei nostri pensieri, il mondo pervade le sale del museo: ci sono i grandissimi e le persone di tutti i giorni (anche quelle di tanti secoli fa), le canzoni, il cinema, i fumetti, la musica, i mobili, le cose da mangiare, i viaggi e i motorini.
Dalle primissime testimonianze della lingua italiana fino agli emoji e agli anglicismi, c’è proprio tutto in questo grande racconto. Io però ho amato soprattutto i capitoli dedicati alle “tre corone”: Dante, Petrarca e Boccaccio. Lo sapevate che l’autore del Decameron copiava a mano interi libri e vi disegnava “insetti, fiori, rami d’edera, grappoli d’uva e strani animaletti, come certe testine d’uccello con le orecchie di lepre?”. Non solo Boccaccio; ho sentito umani e vicinissimi persino Pietro Bembo e il vate Gabriele d’Annunzio.
Grazie, Luisa. Un viaggio nella lingua italiana ti sorprende come un viaggio in oriente: si impara sempre 🌸
Ciao Fiorella.
Vero sempre, ma con questo libro ancora di più!
Luisa