Devo a un post di Massimo Mantellini e ad alcuni suoi tweet se anche io, in questo scorcio d’estate, sono tornata a una scrittrice che avevo molto frequentato da adolescente: Natalia Ginzburg. Per la mia generazione i suoi libri – puliti, austeri, ma a volte divertenti – erano una lettura obbligata. Anche perché lei viveva, parlava, partecipava, interveniva e non potevi proprio ignorarla. Poi negli anni ho approfondito soprattutto quello che le stava intorno: la casa editrice Einaudi, Cesare Pavese, Italo Calvino, Elsa Morante, Torino e Roma, e quell’appassionato ed eroico marito vissuto per poco ma dal cui nome non si separerà mai, Leone Ginzburg (tempo fa Wikiradio di Radio3 gli ha dedicato una mezz’ora che mi ha commossa profondamente e che tutti dovrebbero ascoltare).
Così sono andata a casa dei miei genitori a riprendere gli Struzzi Einaudi di Lessico famigliare e Caro Michele e soprattutto ho letto la monumentale biografia che alla scrittrice ha dedicato Sandra Petrignani: La Corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg. Monumentale per lunghezza, ricchezza di documentazioni e dettagli, più tutta la folla di persone e personaggi che hanno abitato i suoi libri e la sua vita.
Un mondo del giornalismo, dell’editoria, dell’arte e della politica che non esiste più e in cui lei stessa nei suoi ultimi anni era sempre più a disagio. Ma mentre leggevo la sentivo così viva che mi capitava più volte di immaginarla ora e di immaginare i suoi pensieri e le sue reazioni in un mondo in cui sono certa non le piacerebbe proprio niente.
Anacronistica lei in certe nostalgie, ma così nostalgica io di lei, della sua ricerca della verità, del suo rigore nella scelta di parole che aderissero esattamente alle cose e alle idee, da quelle più alte a quelle più quotidiane. Tanto da sentirla e confrontarmi con lei nelle mie scritture professionali e digitali quotidiane. Mi ha indicato la consapevolezza, la sobrietà, una certa intransigenza, ma anche un certo ritmo colloquiale, da ottimo parlato, che può ispirare molte nostre scritture contemporanee.
“Noi corriamo tutti i giorni il pericolo di perdere il significato vero delle parole. Tutti i giorni rischiamo di diventare degli isolati e degli indifferenti. Rischiamo di respirare le parole meccanicamente, rischiamo di dire e ascoltare parole che non evocano niente, e che non risvegliano nessun particolare sentimento in noi.”
Ma non ricordavo un aspetto che La Corsara mette molto bene in luce: la sobria Natalia usava infilate di aggettivi. Aggettivi giusti, ma tanti, che però non ti danno mai l’idea della sovrabbondanza, dell’eccesso, del compiacimento. Anzi, non sembrano aggiungere come una pennellata, ma togliere come un colpo di scalpello, per rivelarti un aspetto, un dettaglio, un tratto decisivo.
Così ricorda il primo incontro con Italo Calvino, addossati a una stufa rossa:
“Aveva, in giovinezza, la persona asciutta, prosciugata, svelta, diritta: e così rimase”.
Sempre Calvino “aveva la meravigliosa facoltà di commentare comicamente la propria persona, e il prossimo, e le code pelose, irsute, squamose e infinite che serpeggiano dietro alle parole.”
E il mondo delle Città invisibili di Calvino “è là, radioso, multiforme, variegato e screziato, e intatto nel suo splendore.”
“Sulle città altissime sotto il cielo, brulicanti e splendenti, formicolanti di umani errori, traboccanti di merci e di cibi, dominio dei topi e delle rondini, cala il tramonto”
Il suo editore di una vita, Giulio Einaudi, aveva “una voce nasale, lagnosa, timida e beffarda“.
Rocco Scotellaro, invece “aveva una testa incoronata di riccioli color rosso e un viso rotondo e infantile, palIido, lentigginoso“.
Il suo nipotino “ha occhi neri, ironici, acutissimi e penetranti“.
Un suo giovane amico era “mite, gentile, ingenuo e facile alla collera”.
A proposito di Proust, di cui tradusse la Recherche, scrive che sa “cogliere il ritmo insieme triste e felice, glorioso e solenne del passare del tempo”
E misurando la grandezza della poetessa più amata: “… come siamo diversi noi dalla Dickinson… crediamo solo nelle nostre scelte, e le nostre scelte sono sprezzanti, irrequiete, schifiltose e smaniose…”.
Di un personaggio del suo racconto Borghesia: “Essa pensò che era strano, triste, misterioso e povero tutto ciò che legava gli uomini agli animali e gli animali agli uomini”.
Trovava i film di Bernardo Bertolucci “ambiziosi, falsi, vuoti e morti“.
E di Moravia che “la sua immagine pubblica appare altezzosa, autoritaria, sprezzante e compiaciuta di sé”.
Avrebbe voluto che il partito comunista, con il quale si candidaed entra in parlamento, fosse “una forza di natura perplessa, dubitosa, pessimista e incerta“.
Quanto all’amico perduto e sempre rimpianto, Cesare Pavese, si innamorava sempre di “donne forti, autoritarie, sfuggenti, nervose, radiose e tigresche”.
Raramente gli aggettivi di Natalia Ginzburg sono insoliti o sofisticati. Allora perché, mi sono chiesta mentre li incontravo e annotavo, riescono a far vedere così tanto e in modo così preciso? Mi sono risposta che forse il segreto è proprio nel numero: se il fatidico numero tre ci dà il senso della completezza e della perfezione e per i più spesso dà luogo a terne scontate (i testi di marketing ne sono pieni), la ricerca del quarto forse ci costringe a non fermarci lì, a non accontentarci del suono piacevole che il tre sa regalare. E poi c’è la questione dell’ordine: quattro o cinque è già un piccolo mazzo di carte, che si può rimescolare a piacimento, ottenendo effetti diversi anche con gli aggettivi più semplici.
Sempre preziosa, a tratti illuminante, propositiva e…briosa: grazie!
Eh che belli! Grazie grazie.
Luisa
molto bello il tuo post, Luisa,
complimenti per come hai saputo raccontare
con poche pennellate affettuose e precise
l’amata Natalia Ginzburg…
Grazie, ma è Sandra Petrignani che l’ha saputa davvero raccontare.
Luisa
Leggere questo post è stato come essere accompagnato in montagna da una buona guida. Grazie.
Grazie, Giuseppe.
L’idea di essere una guida mi piace molto 🙂
Luisa
Che bello questo post su una delle mie scrittrici più amate, quella con la quale anche io sono cresciuta e della quale sto rileggendo, guarda caso proprio in questi giorni, il meraviglioso Lessico famigliare. Grazie
Natalia : fresca ,ingiallita ,prepotente, amata.
🙂
Luisa
Ciao Luisa! Mi hai incuriosito, vorrei leggere un libro di Natalia Ginzburg: quale mi consigli per iniziare?
Grazie e complimenti per il blog.
“Lessico Famigliare”, senz’altro.
Luisa
Anna
Mi sono quasi commossa nello scoprire che Luisa ha dedicato l’estate a rileggere la Ginzurg sull”onda del libro della Petrignani. Anche io l’ho fatto ripercorrendo le tappe di una scrittura che e’ stata per tanti un modello letterario ed umano. E’ inutile dire che ho trascorso una bellissima estate!
Grazie Luisa. Anche io lo sto leggendo con la tua stessa nostalgia delle letture dei miei 16 anni. Un rinnovato interesse per Natalia che nel mio caso é rinato dopo aver ascoltato i meravigliosi audiolibri di RadioRai Ad Alta Voce, in particolare Lessico famigliare letto da Anna Buonaiuto
Anche per me Natalia Ginzburg è una luce per la vita. Le hodedicato dei post nel mio blog . La scoprii ragazzina con Lessico famigliare e mi fece vedere in una luce nuova la mia famiglia, e me la fece apprezzare. GRazie
Sei la più grande, Luisa.
Ti seguo, ma vorrei conoscerti personalmente in laboratorio.
Grazie
Grazie! Sì, volentieri 🙂