Se c’è un sentimento – o forse una sensazione – che ha accompagnato il mio lavoro di scrittura e docenza negli ultimi anni è quello di una rottura forte dei suoi confini. A volte piacevole, quando si aprono davanti a te temi nuovissimi e ti appassioni a studiarli. A volte più destabilizzanti, perché non sai più dove sei, dove stare, dove andare. Hai studiato, scritto, sperimentato tanto e ti senti eternamente studentella e principiante. Nella introduzione di Scripta Volant. Un nuovo alfabeto per scrivere (e leggere) la pubblicità di oggi, Paolo Iabichino descrive benissimo questa sensazione di inedita precarietà. Mi sono sentita capita e incoraggiata, così ho letto il libro d’un fiato, da Ascolto a ZMOT.
“La sensazione che abbiamo tutti è di assistere solamente a una piccola parte del fenomeno di cambiamento che travolgerà le nostre vite a livello più profondo che non quello socio-economico.”
“È come se il nostro scrivere avesse perso la capacità di fissarsi e una volta in rete le nostre parole perdessero i proprio riferimenti, volassero via, smarrendosi di contesti e trasformandosi in altro.”
Coerente con l’invito a costruirci un nuovo alfabeto, Paolo Iabichino intanto ci propone il suo. Ogni lettera, un capitolo. 21 in tutto. La misura breve giova all’autore, che in poche pagine riesce a darci sì spunti e idee, ma anche molti esempi tratti dal nuovo “habitat narrativo” in cui siamo immersi. Giova anche a noi lettori, perché il libro è leggero nello stile, ma denso nei contenuti. Dopo la prima lettura vorace è bello tornare a riflettere sui temi che ispirano ogni capitolo.
Che ruolo hanno oggi le parole nel lavoro del copywriter? Nella relazione tra i brand e il loro pubblico? Anzi, chi è oggi il copywriter? La risposta di Paolo mi è piaciuta molto: è alta, ci chiede di muoverci, leggere, guardare e ascoltare molto oltre e molto più di quanto abbiamo fatto finora, di fare un sacco di domande prima di tutto a noi stessi ancora prima di scrivere una sola parola.
“Il copywriter contemporaneo deve sentirsi ogni volta come su un palcoscenico.”
Non abbiamo più un target, ma un pubblico da conquistare ogni volta, come a teatro. Parlando non alla testa, ma al vissuto e al cuore di ciascuno. Con un linguaggio forse meno elegante rispetto ai canoni della pubblicità e della retorica classica, ma più sincero, più vicino alla vita. Che porta con sé l’utilità dell’informazione giornalistica, la verità umana della poesia, la capacità di narrare e coinvolgere di un cantastorie.
Per andare incontro al suo pubblico, il brand – e chi scrive con lui – deve fare un piccolo passo indietro: ascoltare prima di tutto, “tantissimo, e soprattutto i pareri, i commenti, le idee, le opinioni, le recensioni che arrivano dalle persone che hanno acquistato un bene che siamo chiamati a pubblicizzare”; prima di cosa si vende e si deve dire, chiedersi cosa si è e il perché del proprio stare sul mercato; passare dalla “seduzione della pubblicità” al “carisma dell’informazione”, quella utile, capace di “modificare comportamenti e generare un reale impatto sulla società”. Infine: dare, non solo dire.
“Dare per avere è una regola semplice, sincera, universale. Possiamo ottenere l’attenzione dei nostri interlocutori se siamo disposti a dare messaggi rilevanti, credibili, utili, divertenti.”
Di aziende che praticano con successo questa regola semplice nel libro ce ne sono un bel po’.
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Seguo da tanto Iabichino e so di cosa è capace, come oratore e scrittore. Ora arriva la tua conferma, grazie per il consiglio!
il buon uso della parola cambia gli scenari, ovunque.
Che bello incontrare
La parola
che ti ascolta.
Grazie.
Gerardo