Finisco una giornata di preparazione di un laboratorio di scrittura complesso perché dedicato a testi altamente specialistici, che però devono essere compresi e apprezzati, se non da tutti, almeno da più persone possibili. Portare chiarezza nei linguaggi tecnici è un lavoro che mi piace e che ho svolto sempre più spesso negli ultimi anni, per cui non mi spavento più ma provo anzi un piacevole senso di sfida. So che ne verrò a capo, che troverò la chiave, devo solo avere pazienza e non correre, cosa non facile di questi tempi.
Devo trovare la chiave non solo per semplificare in modo intelligente, cioè tenendo conto di tutte le variabili in gioco (sempre di più), anche per convincere chi poi quella chiarezza dovrà portarla nelle sue scritture che sì, si può fare, ne vale la pena e ci si può persino provare gusto. Perché io lo so che quella frase è sempre sulla punta della lingua: “Ma non possiamo banalizzare!”. L’età e l’esperienza fanno sì che quella frase la senta sempre meno perché ho imparato a prevenirla.
In questi giorni, però, una splendida lettura mi ha dato un nuovo argomento. Il libro è uscito in sordina, forse perché il suo autore è morto da tempo e non ha mai scritto sul web. Eppure Giuseppe Pontiggia è stato il più grande insegnante di scrittura che abbiamo avuto in Italia e il più popolare perché ha riempito per anni interi teatri e ha insegnato a tutti attraverso la radio. Una sorta di Maestro Manzi per gli aspiranti scrittori. Anni fa, quelle 25 Conversazioni sullo scrivere trasmesse da Radiodue nel 1994 le ritrovai una per una, le ascoltai e mi insegnarono tantissimo. Ora sono uscite nel libro Dentro la sera, completo di cd audio, presso Belleville Editore.
Un libro diverso da quelli cui siamo abituati oggi, tutti titoli, titoletti, caption e boxini. I capitoli si intitolano tutti Conversazione seguita da un numero e non contengono nemmeno mezzo grassetto, ma io mi sono incantata e raccomando il libro a chiunque ami e pratichi la scrittura. Tutta, perché Pontiggia passa dalla scrittura professionale a Dante, dalla retorica ai forestierismi, alla poesia. Non c’è struttura, ma la magnifica fluidità e improvvisazione della conversazione.
Ma torniamo a noi e alla chiarezza dei testi specialistici. Pontiggia ci presenta la “lingua comune” non come il gradino più basso, quello della presunta banalizzazione, ma come il più alto, quello cui aspirano i più grandi, tanto da definirlo il “collaudo della lingua comune”.
“Il bisogno della chiarezza, della semplicità, è anche un’aspirazione intellettuale: chi parla in modo chiaro è più ambizioso di chi si accontenta dei modesti trionfi di un linguaggio incomprensibile. Chi parla in modo chiaro risponde una sfida molto ardua: mettere a confronto il suo sapere tecnico con il collaudo della lingua comune. Quindi non è un desiderio di banalizzare; è semmai un’aspirazione direi importante, orgogliosa.”
Pontiggia cita i grandi scienziati scrittori: Freud, Einstein e soprattutto Galilei, che per diffondere le sue idee scelse la forma del Dialogo proprio perché gli consentiva di collaudarle al vaglio della lingua comune. Non semplificavano per allargare il loro pubblico, per l’ambizione di essere più accessibili.
“Secondo me l’hanno fatto per un’ambizione più potente, più forte: collaudare le loro teorie al vaglio della lingua comune. Vaglio molto più severo che non il linguaggio specialistico, perché il linguaggio specialistico nasce dall’accordo di un gruppo circoscritto di persone circa il significato di certe parole. Ma non è la strada maestra, è una scorciatoia del pensare. Sottoporre, invece, le proprie acquisizioni, le proprie esperienze, al collaudo della lingua comune, significa anche correre rischi. Significa impegnarsi molto di più. E significa rimettere in discussione ogni volta le proprie acquisizioni perché la lingua comune costituisce un ostacolo potente, un ostacolo forte.”
“Il termine tecnico semplifica i problemi. Il vero studioso, il vero scrittore invece ‘affronta’ i problemi, perciò tende eludere le semplificazioni concettuali del linguaggio tecnico e le sostituisce magari con perifrasi, con immagini, con chiarimenti che costituiscono acquisizioni anche per lui.”
Quest’ultima frase mi ha fatto venire in mente Le sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli e soprattutto questo brano:
“La meccanica quantistica e gli esperimenti con le particelle ci hanno insegnato che il mondo è un pullulare continuo e irrequieto di cose, un venire alla luce e uno sparire continuo di effimere entità. Un insieme di vibrazioni, come il mondo degli hippy degli anni Sessanta. Un mondo di avvenimenti, non di cose.”
Io sono innamorata di questa frase: “Un mondo di avvenimenti, non di cose”. Ecco il collaudo della lingua comune.
Penso che questo collaudo faccia bene a tutti noi, anche quando scriviamo delle semplici istruzioni, spieghiamo gli impatti di una legge o il funzionamento di un software. E sono grata a Giuseppe Pontiggia per avermi aiutata a dargli un nome.
Anche dalle parti di Jakob Nielsen si stanno occupando dei linguaggio specialistici, in questo caso sul web. L’articolo Writing Digital Copy for Domain Experts ci guida nei difficili equilibri tra esigenza di divulgazione ed esigenza di precisione. In un sito di scienza, medicina, geografia, tecnologia, il linguaggio specialistico è garanzia di accuratezza e credibilità e (con qualche cautela) deve essere privilegiato. Ma anche gli esperti, quando leggono da uno schermo, condividono con il grande pubblico parecchie cose. Per esempio, conclude l’articolo, nemmeno loro leggono in modo lineare, dall’inizio alla fine. Anzi, apprezzano le scorciatoie e la molteplicità dei punti di ingresso – abstract, titoli, sottotitoli, grassetti – per trovare le informazioni e decidere se leggere tutto e con attenzione. Vero: nel lavoro di divulgazione si lavora sul lessico, ma anche sull’ordine, la struttura, i microtesti; in un’architettura ordinata anche le parole tecniche e specialistiche si capiscono meglio.
Su questo blog leggi anche:
Aggettivi in viaggio
Parole nell’etere
Cara Luisa,
a costo di sembrare ripetitiva, ti ringrazio per i libri che ci hai segnalato, che comprerò quanto prima. Il tuo post sottolinea ancora una volta quanto l’importanza di rendere accessibile un testo per trasmettere un messaggio, semplice o complesso, al più alto numero di lettori.
Semplificare, senza banalizzare, è opera ancora più ardua, ma non impossibile.
Negli anni, seguendo i tuoi consigli, ho imparato ad apprezzare il lavoro di smontaggio e rimontaggio dei testi, fatto di tagli, riposizionamenti, variazioni lessicali. E poi di musicalità, ritmo, architettura. Se questo riesci a farlo su ogni tipo di testo e trovi l’illuminazione che in un attimo cancella ore di lambiccamenti su una sola frase, ecco che la magia si compie.
Grazie sempre per la tua generosità
Marinella Simioli
Grazie a te, Marinella, per le tue sempre belle parole 🙂
Luisa
Bellissimo articolo, perché scritto bene e perché condivide dei concetti etici molto alti.
Mi permetterei di rilanciarlo anche sul mio blogghino (ma cosa è accaduto a wordpress?)
Ciao Andrea,
grazie, ma cosa intendi con “ma cosa è accaduto a wordpress?”
Luisa
Davvero interessante, l’ho condiviso su “twitter” anche per non perderlo!
Grazie, un saluto
Alexandra
Che meravigliosa esperienza leggere queste parole! Da eterna estimatrice della semplicità trasversale,intesa come chiarezza comunicativa estesa a tutti gli ambiti,non posso che entusiasmarmi e perdermi fra concetti esplicativi che fanno della volontà di spiegare la propria essenza. Snobbata,ridicolizzata,associata ad ignoranza e ghettizzata a dismisura,la semplicità di linguaggio ha sopportato angherie ed ingiuste definizioni nel corso dei secoli. Ciò che,a mio avviso,rende nobile un discorso è invece la capacità di saperne scegliere i vocaboli,tentando la via della comprensione ad ampio spettro,in una sorta di sintassi trasparente,seppur impeccabile,perfettamente intuibile e magnificamente universale. Prerogativa degli animi umili,il desiderio di farsi comprendere non si nutre di discorsi barocchi,ma coltiva un’ ambizione sana,non fine a se stessa ma intimamente predisposta all’apertura del linguaggio. In tempi poi come i nostri,dove congiuntivi e punteggiatura sfiorano l’esilio,la capacità di semplificare concetti e scritture è una missione encomiabile,frutto di un’intelligenza propria che non ha sicuramente bisogno di abbigliarsi a paroloni. La ringrazio per la piacevole lettura e le auguro una splendida serata,signora Luisa.
Grazie! E che bel commento 🙂
Luisa
Di nulla!!! 😊
Comprato, grazie Luisa. Lo centellino assaporando ogni lezione.
Mi piace continuare a IMPARARE: che bellezza *_*
Io che combatto ogni giorno per “tradurre”testi dal medichese all’italiano, cercando di rendere interessante per dottori e non argomenti complicati, ti ringrazio per questo pezzo che ho letto tutto d’un fiato. Appunto e cerco subito il libro 😊. Grazie davvero