The best copy is the copy you steal from how your users actually talk and write about your product.
A volte leggi delle frasi semplicissime, che dicono cose che pensi e sai, ma non avresti saputo dire così bene. Una è quella che apre questo post, ispirato da un lungo giro di letture, in gran parte su www.fastcodesign.com. Il punto di partenza è stato il Design in Tech Report 2017, coordinato da John Maeda. 48 pagine limpide ed essenziali sulle tendenze del design tra tecnologia, business, economia e arte.
John Maeda lo seguo da anni, da quando scoprii e divorai il suo libro più famoso, Le leggi della semplicità, nella piccola ed elegante edizione di Bruno Mondadori. Mi piacque tanto, ma soprattutto mi aiutò a capire i concetti di base del design efficace, anche il design del testo. Quelle pagine erano la dimostrazione che anche i concetti complessi si potevano esprimere in modo semplice e con le sole parole necessarie. Quelle giuste, né una di più né una di meno.
Maeda predica e razzola ugualmente bene. La sua tinyletter arriva ogni due o tre mesi: la prima del 2017 ha solo 2017 parole e solo due link: quello “speciale” a un contenuto di particolare valore, e quello per cancellarsi dalla mailing list. Stop.
Tra le tre sole “cose che sto pensando sul design” questa, che ho ritrovato anche nel Report:
Voice-based and chat-based interfaces are grounded in mental models that don’t require a visual representation.
Lì per lì non ci avevo fatto troppo caso, ma sfogliando il report ho capito. È stato a pagina 27, dove mi aspettava la sorpresa sotto il titolo More than design. Code is not the only unicorn skill. E qual è l’altra? La scrittura, il vero punto debole dei designer che invece ne hanno grande e urgentissimo bisogno. Nella nostra interazione con app, prodotti e luoghi fisici e digitali puoi togliere (quasi) tutto, ma non le parole. Language design di Yvonne Bindi, cui ho dedicato il post precedente, offre tantissimi esempi dei danni e del disorientamento che può provocare una sola parola sbagliata, fuoriposto e truffaldina.
Con chatbot e assistenti vocali, comunicheremo con i brand soprattutto, se non solo, con le parole e nei momenti cruciali della relazione: quando poniamo domande, vogliamo sciogliere un dubbio, saperne di più, lamentarci, scegliere, confrontare e infine comprare. Parole che ci aspettiamo siano utili, oneste, precise, ma anche naturali e plausibili e in più in sintonia con tutte le altre parole del brand. Quelle del sito, dei social, delle DEM, delle app, delle condizioni di servizio (sì, pure quelle, con buona pace degli uffici legali). Un vero verbal design, finalmente alla pari con il visual design.
Brand non solo con un carattere, ma con una voce inconfondibile, riconoscibile, proprio come quella di una persona. E chi è che da sempre disegna, dà voce, scava dentro e fa muovere i personaggi, crea situazioni, risolve conflitti, se non chi scrive?
E visto che la scrittura sta per riprendersi la scena, un bel ripasso delle dieci leggi della semplicità ci sta proprio bene:
- RIDUCI
Il modo più semplice per conseguire la semplicità è attraverso una riduzione ragionata. - ORGANIZZA
L’organizzazione fa sì che un sistema composto da molti elementi appaia costituito da pochi. - TEMPO
I risparmi di tempo somigliano alla semplicità. - IMPARA
La conoscenza rende tutto più semplice. - DIFFERENZE
La semplicità e la complessità sono necessarie l’una all’altra. - CONTESTO
Ciò che sta alla periferia della semplicità non è assolutamente periferico. - EMOZIONE
Meglio emozioni in più piuttosto che in meno. - FIDUCIA
Noi crediamo nella semplicità. - FALLIMENTO
Ci sono cose che non è possibile semplificare. - L’UNICA
Semplicità significa sottrarre l’ovvio e aggiungere il significativo.
Per finire, due cose utilissime che ho scovato nel mio giro intorno a design e scrittura:
- Il Tiny Content Framework di Nicole Fenton (stampare subito e ternerlo a portata di mano)
- La lista di libri sulla scrittura consigliati ai designer.