[Questa settimana ho visto una mostra straordinaria, in cui le parole giocano un ruolo decisivo. Se sono riuscita a ritagliare una mattina ferrarese all’interno della mia trasferta lavorativa lo devo a mio fratello Giovanni, che me ne aveva parlato con entusiasmo. Aveva ragione, per cui questa volta lascio la parola a lui, che come ideatore e curatore di mostre vi sa raccontare meglio di me perché questa è così speciale.]
Diventare testimoni di un miracolo nella comunicazione del nostro patrimonio culturale non è difficile. Basta visitare la mostra Orlando Furioso 500 Anni a Palazzo dei Diamanti, a Ferrara.
Il miracolo consiste nel trasformare un noioso ricordo dei tempi della scuola in un’esperienza culturale straordinaria. Peccato esserci stati quando la mostra era quasi in chiusura. Ma la sua lezione sull’uso delle parole, e soprattutto per chi le usa o le dovrebbe usare per far parlare il nostro patrimonio culturale, è senza prezzo.

Prima idea geniale: anziché concentrarsi sull’opera letteraria, la mostra cerca di farci condividere l’immaginario di Ludovico Ariosto. Da qui il suo sottotitolo: “Che cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi”. Ma come si può condividere l’immaginario di un uomo di cinquecento anni fa, che viveva in un mondo così diverso ed era immerso in una cultura così lontana?
Seconda idea geniale: facendoci vedere quello che Ariosto ha visto, con gli occhi bene aperti, e che ha nutrito il suo immaginario. Da questo punto di vista, la mostra è anzi una festa continua per gli occhi: Leonardo, Raffaello, Sebastiano del Piombo, Botticelli, Mantegna, ma anche il corno di Orlando (o almeno quello creduto tale per secoli), la spada di Francesco I, il più antico cimiero da giostra completo giunti fino a noi, prime edizioni rarissime, la prima carta geografica che rappresenta il Nuovo Mondo appena scoperto.
Ma è la terza idea la più geniale di tutte: un tessuto di parole capaci di usare quelle opere d’arte e quegli oggetti per farci entrare nel mondo di Ariosto, sotto forma della più semplice, ma più intelligente delle audioguide. Non un’audioguida fancy, come quelle delle grandi mostre inglesi, a più voci, con la musica e gli effetti, ma il racconto filato per cinquanta minuti di uno dei curatori, Guido Beltramini, che come farebbe un amico colto, in modo personale ma mai paternatistico, ci accompagna passo passo, da un exhibit all’altro della mostra, facendoli parlare uno per uno. Se volete ascoltarlo, potete scaricare l’audioguida dal sito di Palazzo dei Diamanti.

La piccola rivoluzione copernicana della mostra è quella di non parlare delle opere d’arte e degli oggetti, se non per dirci che cosa stiamo vedendo insieme a qualche notizia capace di esaltarne il valore, ma di usarli per raccontare qualcosa di diverso o di più grande. Dall’uso dell’arte come strumento del potere nelle corti rinascimentali al passaggio dal mondo medievale a quello moderno, dalle influenze della mitologia classica nella cultura di Ariosto alla struttura di un genere letterario la cui più recente incarnazione sono le soap opera televisive.
In altre parole, il curatore non usa le parole per cercare di farci diventare dei piccoli esperti di questa o quell’opera, ma per costruire un grande racconto nel quale le opere d’arte – con la loro bellezza e il loro carisma – sono dei punti di appoggio e di partenza per la nostra immaginazione, appunto come lo furono per Ludovico Ariosto.

E davvero le parole riescono a “fecondare” le opere d’arte e gli altri oggetti raccolti, per far nascere dentro di noi qualcosa di nuovo e di diverso, e che è molto più importante di loro. Il curatore infatti è riuscito a liberarsi di ogni curiosità “antiquaria” per tirare fuori da ogni opera un significato più profondo e più rilevante per lo scopo che si era dato: entrare e farci entrare nell’immaginario di Ludovico Ariosto.
Nel suo racconto, Guido Beltramini vola alto, a volte altissimo, entrando a volte in questioni specifiche e sottili, ma riesce sempre a parlare a tutti, portando per mano a passeggiare nel mondo di Ariosto anche chi al liceo non è mai stato, e che forse di quel tempo e di quella storia non sa quasi nulla, dimostrando che la cultura – quella vera – può essere condivisa con tutti. Basta saperlo fare, e soprattutto volerlo fare. Ce lo rivelano le sue parole mai venate di condiscendenza o di snobismo, nelle quali cogliamo innanzitutto un grande rispetto per il visitatore.
Per una volta, possiamo davvero dire che una mostra non si è limitata a meravigliare – come le mostre blockbuster costruite esclusivamente intorno al nome di una celebrità artistica – ma ha davvero prodotto e diffuso cultura. Su un tema, per di più, contro il quale pensavamo che la scuola ci avesse vaccinato per sempre.
Giovanni Carrada
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L’uomo che fa parlare gli oggetti
Condivido dalla prima all’ultima parola. Visitare quella mostra è come respirare l’aria pura dell’intelligenza e della competenza unite alla capacità di comunicare.
Non amo le audio guide, ma ho ascoltato con piacere questa del Palazzo dei Diamanti.
Chi sa incantare come Tomaso Montanari per Bernini e Caravaggio possiede la competenza e la magia della parola.
Grazie Luisa *_*
non ho visto la mostra ma le parole sono, da sempre, potenti strumenti solo per chi le sa usare
Davvero una mostra eccezionale. Che l’analisi e il commento di Giovanni Carrada ben valorizzano. Potrei aggiungere che la mostra è un esempio straordinario di come si costruisce la comprensione profonda di un’opera (Orlando Furioso), di un uomo (Ariosto), di un’epoca. La comprensione, in quella mostra, è un incontro, un dialogo, un vedere e toccare, un vivere con chi non è a cinquecento anni di distanza, ma si fa presente per svelarci i suoi sogni, le sue scoperte, le sue preoccupazioni, le sue amicizie, le sue conoscenze, l’ambiente in cui vive. E il tutto si ripercorre nel catalogo e si riascolta nell’audioguida davvero bella. Sarebbe straordinario se trasferissero il tutto in un film: la sceneggiatura e i dialoghi sono già abbozzati.
Un film! Sì, sarebbe bellissimo. Luisa