Del secondo Cluetrain Manifesto, quello pubblicato a gennaio 2015, salvai poche tesi. Ma una ha continuato a risuonarmi dentro e qualche volta l’ho proposta all’inizio di un laboratorio di scrittura:
“Il web è lo strumento più versatile da quando è stato inventato il linguaggio”.
Siccome ho sempre pensato che il linguaggio fosse il nonplusultra della versatilità – ci possiamo fare praticamente tutto – cosa succede se va ad abitare in un luogo che scoppia anch’esso di possibilità? Un’esplosione di ricchezza espressiva, direi.
Ma non è questo che sta accadendo, almeno non ancora. La maggior parte di noi – tanta comunicazione delle aziende, ma me compresa – scrive su strumenti nuovissimi senza riuscire a staccarsi davvero dai modelli testuali con i quali è cresciuto. Che significa soprattutto testo descrittivo e discorsivo, da leggere dall’inizio alla fine, proprio come in un libro.
Il modello libro, tanto accoratamente rimpianto e ancora tanto utile per studiare e imparare, non è però più l’unico come nei cinque secoli della parentesi Gutenberg. A me piace pensare che di quegli stretti confini il testo si sia finalmente liberato, ma noto che di tanta sterminata libertà non sa ancora bene che farsene.
In pochi anni è dilagato dappertutto, anche nelle nostre conversazioni quotidiane, e in tutti i momenti della nostra giornata, da quando ci svegliamo a quando andiamo a dormire. Tante situazioni, così mutevoli, richiedono la capacità di muoversi con disinvoltura tra tanti stili e toni diversi, tra tanti “registri” come dicono i linguisti. La capacità (alla base della “personalizzazione” di cui tanto si parla nel marketing) di modulare testi e parole al mutare della situazione, dell’interlocutore, di cosa vogliamo ottenere da lei o da lui, del suo stato d’animo, del momento della giornata in cui riceve il nostro messaggio.
Così il laureando scrive al docente universitario come scriverebbe a sua sorella, l’azienda manda il comunicato stampa del tempo che fu a giornalisti che non li leggeranno mai, il customer care l’email in aziendalese stretto e linguaggio difensivo al cliente arrabbiato. E l’amministrazione non si chiede se quello che ha scritto sul cartello affisso all’Urp sia comprensibile da tutti.
Nella comunicazione professionale la versatilità, plasticità e duttilità propiziate dall’incontro tra linguaggio e digitale sembra ancora lontanissima. Eppure la ricchezza che ci offre è immensa. Non è affatto facile afferrarla e dispiegarla – e tutti noi procediamo a esperimenti e a tentoni – ma il futuro è lì. In un linguaggio che sappia esplorare e abitare le sfumature, in una parola scritta che dopo la riconciliazione con l’immagine si appresta a fondersi con la naturalezza della voce, in testi capaci di scomporsi in microtesti e moduli più piccoli, di separarsi e ritrovarsi secondo tante combinazioni. Il contrario del testo monolite e compiuto dei nostri studi scolastici.
Per scrivere “ricco” – che non significa lungo o infiorettato, ma pieno di possibilità di incontro con altre scritture, parole, persone – abbiamo bisogno di tante parole, di tanta voglia di sparigliare il loro ordine, di disegnarne il perimetro ma poi di farle coraggiosamente interagire. Abbiamo soprattutto bisogno di qualcosa che questi tempi veloci ci stanno rubando: il tempo di farci un sacco di domande prima di scrivere. Solo così i nostri testi saranno risposte pertinenti, attente, coinvolgenti, utili, e non l’espressione pigra e verbosa del nostro ego personale o aziendale.
Quando in un laboratorio di scrittura smonto, analizzo, rimonto, lavorando anche sulle minuzie, spesso l’obiezione è “Bello, bellissimo, ma noi lottiamo contro il tempo, non possiamo dedicarne tanto a un singolo testo.” Vero ma, staccato dalla fisicità, il nostro testo si prepara a vivere una vita propria, che sarà lunghissima e che soprattutto non controlleremo più. Meglio investire qualche minuto per mandarlo attrezzato e autonomo in giro per il mondo.
Da te, Luisa, “ha continuato *ha risuonarmi”…
Consiglio eccezionale…sto lavorando proprio per ottimizzare la giusta amalgama.grazie
“Meglio investire qualche minuto per mandarlo attrezzato e autonomo in giro per il mondo.”…perchè non puoi riprendertelo dopo averlo licenziato *_*
quando esistono le ‘possibilità’ tutto è ricco in quanto ci sono molte strade da percorrere
[…] riflessione di Luisa Carrada che (come sempre) condivido appieno, su come il testo digitale offra tantissime possibilità a chi sa approcciarlo in maniera totalmente nuova rispetto ai testi […]
Bellissimo. Grazie
Grazie Luisa.
Perché dopo aver letto i suoi 2 libri Il mestiere di scrivere e Lavoro dunque scrivo credo di essermi innamorato delle scrittura, delle parole…
A 55 anni per lavoro mi sono trovato per la prima volta a scrivere dei testi. Sto scoprendo le infinite possibilità che abbiamo. Sto scoprendo un mio stile opposto a quello che credevo di avere. Forse più vero!