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risali negli anni

31 Luglio 2016

Alphonse Mucha, generoso e fortunato bohémien

Alphonse Mucha, Manifesto per la tipografia Champenois, 1897.

Credevo di avere una certa confidenza con l’artista cecoslovacco Alphonse Mucha, se non altro perché ho ospitato per anni nella mia camera di bambina e di ragazza il suo manifesto che apre questo post. E invece la mostra che gli dedica il Vittoriano a Roma fino all’11 settembre mi ha rivelato un artista sfaccettatissimo ben oltre i celeberrimi manifesti, una persona di straordinaria generosità, una vita vissuta con pienezza e consapevolezza rare.

Un bambino prodigio, il piccolo Alphonse, che impara a disegnare prima ancora che a camminare e già adolescente ha ben chiaro cosa vuole fare: diventare un artista. Dopo aver studiato a Vienna, capitale dell’impero, la meta è Parigi dove i giovani come lui, poveri di mezzi e ricchi di talento, danno vita a un termine destinato a grande fortuna: bohémien, dalla loro terra d’origine.

Alphonse Mucha, Ritratto della moglie Marushka, 1905.

Povero di mezzi Alphonse lo rimane per pochissimo tempo. È baldanzoso e fortunato: dopo aver incontrato e sposato la sua giovane musa, un’altra donna incrocia la sua strada, Sarah Bernhardt, l’attrice più famosa del suo tempo. Le basterà dare un’occhiata al bozzetto che Mucha ha dedicato al suo spettacolo, Gismonda, per ingaggiarlo per ben sei anni: manifesti, scenografie, inviti… tutto il mondo teatrale parigino sarà firmato Mucha, che trasloca in uno studio più grande, arredato nello stile che furoreggia e che anche lui contribuisce a creare: l’art nouveau.

Arte nuova sì, arte che coinvolge ogni dettaglio della vita quotidiana, ma che per Mucha si nutre di una profondissima cultura figurativa. È entusiasmante scovare in ogni sua opera il riferimento, trasfigurato, a un artista del passato: Sarah campeggia sui muri di Parigi in un formato lungo e stretto e con una palma in mano, proprio come una santa martire in una sacra conversazione rinascimentale, oppure sfodera una lunghissima chioma bionda, che ha i ritmi della Venere botticelliana; suo figlio Jiri sfodera una consapevolezza e una posa da artista rinascimentale; e i suoi profili tondi… come non pensare a Piero della Francesca?

Il ritratto di Sarah Bernhardt nelle vesti di Gismonda di Mucha (1894). Santa Giustina nel polittico di San Luca di Andrea Mantegna (1453-55).

 

Il ritratto di Sarah Bernhardt nelle vesti della Samaritana di Mucha (1897). La Nascita di Venere di Botticelli (1482-85 circa).

 

Alphonse Mucha, Ritratto del figlio Jiri, 1925.

 

Il ritratto di Battista Sforza di Piero della Francesca (1472 circa). Zodiaco di Mucha (1896).

I passanti, gli appassionati di teatro o i visitatori del padiglione austriaco all’esposizione universale del 1900 non si accorgono di questi richiami profondi, ma sono stregati dalle sue donne avvolte di panneggi, piante, fiori e stelle. Quasi nude a volte, ma una sensualità strana, un po’ raggelata nei colori metallici, nelle geometrie bizantine.

Alphonse Mucha, La stella del mattino, 1902.

Alphonse piace, piace a tutti. Agli artisti ombrosi come Gauguin, che trovano in lui un amico generoso, ma anche ai consumatori: le sue campagne pubblicitarie per aziende di biciclette, dolci e biscotti, champagne, saponi e profumi, accompagnano l’epoca delle esposizioni universali e dei grandi magazzini. Per lo stampatore Champenois disegna anche il calendario aziendale.

Alphonse Mucha, manifesto per l’azienda britannica Cycla Perfecta (1890).

Alphonse è felice e instancabile, si dedica a tutte le tecniche: la litografia a colori dei manifesti, il disegno per i quaderni di elementi decorativi di ispirazione per gli artigiani, l’olio per i ritratti, l’acquerello e il carboncino per gli schizzi e i bozzetti di affreschi e vetrate, la fotografia che documenta la sua opera e la sua vita, ma soprattutto i magnifici gioielli. Li disegna per l’amatissima moglie, poi per il gioielliere più famoso di Parigi, Fouquet, che arriverà a commissionargli l’intero arredamento del suo negozio.

Il regalo di nozze di Mucha alla moglie (1906).

Alphonse è felice, instancabile e generoso. Alla fine della prima guerra mondiale finisce l’impero austroungarico e la Cecoslovacchia diventa indipendente. Lui si mette a completa disposizione del suo paese: disegna le prime monete e i primi francobolli, realizza vetrate e affresca importanti edifici pubblici. Ma vuole fare ancora di più: realizzare l’epopea slava, venti grandi tele da regalare alla città di Praga. Ci vogliono molti soldi e lui va in America a cercarli; glieli darà il ricchissimo industriale e mecenate Charles Richard Crane.

Torna in Boemia, compra un castello e si mette all’opera: le foto ce lo mostrano con il camice bianco sotto il quale si intravedono sempre giacca e cravatta. È in questo periodo che si avvicina al sogno della pace universale della massoneria e alla filosofia mistica di August Strindberg: dalla pace per tutti i popoli slavi alla pace per tutti. Il suo ultimo grande progetto è un trittico di cui abbiamo solo i bozzetti, dedicato alle tre future età dell’amore, della  saggezza e della ragione.

L’obiettivo del mio lavoro non è mai stato distruggere, ma costruire, collegare. Dobbiamo sperare che l’umanità si stringa a sé, perché sarà tutto più semplice quanto più saremo in grado di capirci.

Il sogno della pace e della comprensione tra i popoli si infrange nell’aprile del 1938, quando i nazisti occupano la Cecoslovacchia. Mucha è tra i primi a essere interrogati. Sarà rilasciato, ma riuscirà a sopravvivere ai suoi sogni soltanto tre mesi. Le venti tele dell’epopea slava, invece, sopravvivono al nazismo e alla guerra, arrotolate e nascoste per quindici anni, fino al 1960.

Online, il posto più bello per scoprire Mucha: Mucha Foundation.

 

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