Human-to-Human, sembra facile!
Ho letto parecchi libri sul tono di voce, ci ho scritto su un bel po’ di post e anche qualche guida di stile per le aziende. Tutte aspirano alla relazione human-to-human, a parlare e scrivere come le persone, a mettere il cliente “al centro”, le sue esigenze e le sue aspirazioni al primo posto. Dichiararlo è facile, praticarlo molto meno.
Io ho imparato soprattutto su quel terreno pieno di insidie che è la relazione diretta con il cliente, soprattutto nei momenti difficili. Quando la relazione è in pericolo, quando il cliente ti sta scappando via, dai fondo a tutte le tue capacità e risorse linguistiche e relazionali – anche le più sottili – per sintonizzarti con lui, farti capire, spiegare perché è successa una cosa spiacevole o al contrario esprimere gioia e gratitudine per un apprezzamento o un suggerimento felice. E poi modulare il tono di voce a seconda del canale che stiamo usando.
Un letterale passo indietro
Quando descriviamo invece un prodotto – su una brochure, sul sito, in un post – quel famoso cliente che vogliamo mettere al centro se ne sta lontano, non incombe con urgenza su di noi e… i buoni propositi vanno facilmente a farsi benedire. Eppure a volte si può cominciare a fare qualcosa di veramente molto semplice: mettere fisicamente, letteralmente, il cliente all’inizio, cioè all’inizio del testo, del paragrafo, del periodo. Evitare come la peste di cominciare con “noi”.
Ci ripensavo nei giorni scorsi, in cui ho rivisto parecchi testi di due aziende importanti e molto consapevoli e avvertite sull’importanza del tono di voce, dell’ordine e del modo di dire le cose. Eppure la fatidica frase di inizio “Il nostro fantastico aspirabriciole ti consentirà di avere sempre una tavola superpulita!” (si fa per dire, si trattava in realtà di servizi molto più astratti e complicati”) si insinuava spessissimo a spingere il cliente in secondo piano, all’ombra del fantastico aspirabriciole.
Una triade di verbi pericolosi
La colpa è tutta di quel verbo “consentire” e dei suoi primi cugini “permettere” e “mettere in grado”: fanno cadere dall’alto anche il migliore dei vantaggi, il più agognato miglioramento della nostra quotidianità; danno al testo un tono concessivo e paternalistico da azienda “so-tutto-io”, che parla al cliente dall’alto del suo piedistallo. Sono verbi-scorciatoia, quelli su cui si adagia il copywriter quando è stanco. Per me, ormai, funzionano da allarme: quando li leggo o si affacciano alla mia mente, driiiinnn, Luisa sveglia! Se sei stanca, riposati e tornaci su. Ripartendo dal cliente, dal suo problema, non dall’azienda o dal prodotto: “Dopo la colazione la tavola è un campo di battaglia. E tu che fai? Passi Aspirabriciole e la tavola è già pronta e pulita per la cena. E voi siete pronti per uscire.”
Anche qui, torniamo ai classici
Come per moltissima scrittura di marketing non stiamo inventando nulla, ma solo (ri)scoprendo l’acqua calda. Comunque facciamo bene a riscoprirla superando “l’omogeneizzata voce del business”, per dirla con quelli del Cluetrain Manifesto.
Steven Pinker, in The Sense of Style, ci dice molto bene che la premessa di qualsiasi testo efficace è l’atteggiamento dell’autore, che deve porsi sullo stesso piano del lettore in maniera sincera: l’unica cosa che li distingue è che l’autore sa qualcosa che il lettore ancora non sa. Punto. E ne rintraccia la consapevolezza nello stile “classico” degli scrittori francesi del seicento come Descartes e La Rochefoucauld (di questo parliamo un’altra volta, ma ne parliamo!):
Lo stile classico, che ipotizza l’assoluta uguaglianza tra autore e lettore, fa sentire il lettore un genio. La cattiva scrittura lo fa sentire un’idiota.
È quello che pensano anche i copywriter dell’Economist, che certo non trattano argomenti leggerini:
Scrivi come se stessi parlando a un amico intelligente e curioso. Non fare il sostenuto.
Ecco, che bello sarebbe se le aziende, mentre scrivono, pensassero ai clienti e ai prospect come amici! Ma sul serio, con attenzione e cura, non solo come numeri sulla pagina Facebook.
Su questo blog leggi anche:
Testi naturali e conversevoli
Scrivere per farsi ascoltare
La (dis)umanità del customer care
Contro le bare verbali e le parole zombie
Scrivere: una visione e una conversazione
Naturale come il parlato, preciso come lo scritto
Grazie Luisa. Concetti che so. Ma…
voglio rileggere questo post prima di scrivere ogni mail/newsletter/post ai miei clienti…
buongiorno, dopo aver letto quest’ultimo articolo mi sento in dovere di ringraziare perché come sempre l’argomento è interessante e trattato per essere piacevolmente letto. Sono lettore da tanti anni ma lo faccio solo ora…per il timore del giudizio sul commento!
Macché timori, Andrea!
Sapessi quante volte rileggo io per paura di sciocchezze e refusi!
Luisa
Ciao Luisa, lavoro in una web agency come web writer e mi ritrovo perfettamente in quello che scrivi. Fa parte, credo, del nostro lavoro riuscire a formare le aziende convincendole che il rapporto azienda-cliente dev’essere alla pari. Si tratta solo di colmare quel gap informativo di cui scrivi, in modo semplice, intelligente, senza tirarsela.
A presto.
PS. (Ho semplicemente adorato “Il Mestiere di Scrivere” e mi ha dato una grande mano nel mio lavoro quotidiano. Grazie)
Mauro, felice che il libro ti sia stato utile 🙂
Luisa
Non è facile, ma dovremmo sempre fare del nostro meglio per calarci nei panni dell’utente finale (o lettore modello).
Più che al centro direi che la persona viene prima di tutto il resto, un po’ come dire: “sbriciola quanto vuoi, al resto pensiamo noi” 😉
[…] Elimina le parole permettere, consentire e mettere in grado, come spiega Luisa Carrada in questo post. […]
[…] e lingua italiana Human-to-Human, sembra facile! Ricetta per scrivere un testo professionale Quanto tempo ci vuole per scrivere un post? […]
Grazie Luisa, come sempre lei è una risorsa inesauribile di spunti e di riflessioni che io, come copywriter, avrei il dovere di farmi ogni volta che mi siedo di fronte allo schermo bianco! Questa cosa della naturalezza nel parlare ai clienti mi ha cambiato la vita, le giuro! Non potrò mai esserle grata abbastanza per il suo intervento al C-come del 2015, che mi ha fatto mettere in discussione tante cose sul mio lavoro e cominciare un nuovo percorso che mi ha resa molto più soddisfatta di quello che faccio.
Anche oggi mi ha dato una perla molto utile, lo so già.
E visto che ci sono, complimenti anche per il suo libro “Lavoro, dunque scrivo!”, che è il più bel testo di comunicazione che io abbia mai letto in assoluto e che ora mi fa compagnia insieme allo Zingarelli sulla scrivania.
Buona giornata Luisa!
Grazie Margherita, che belle parole incoraggianti!
Ne sono felice 🙂
Luisa
Buonasera,
sono nuova del blog, mi sto documentando perché ho appena cominciato a scrivere il mio primo romanzo, un fantasy.
Ciò che mi propongo è di iniziare a scrivere con uno stile narrativo semplice, veloce, quasi telegrafico, per poi cambiare lentamente durante lo sviluppo del libro e mutare infine fino a raggiungere un linguaggio più complesso e ricco. Tutto questo perché mi piacerebbe far riflettere il cambiamento del personaggio principale, che (in parole povere) passa da infelice, arrabbiato a felice e soddisfatto, anche nello stile con cui il libro è scritto. In tutta umiltà vorrei chiedere se è forse un proposito irraggiungibile per una scrittrice principiante o se questa scelta potrebbe non avere senso da qualche punto di vista.
Buonasera Luisa, articolo davvero interessante. Poiché lei è sempre generosa di esempi pratici, mi permetto di chiedergliene uno: sarebbe davvero illuminante e utile se potesse fornirci un esempio di testo in cui l’autore si mette sullo stesso piano del lettore e un esempio in cui invece questo non succede. Simona, un’altra appassionata e avida lettrice del suo libro “Lavoro, dunque scrivo” di cui le sono molto grata
[…] direttore creativo Francesco Franchi sa creare pagine che diventano veri e propri paesaggi verbali e visivi, da guardare oltre che da […]
[…] i consigli, le immagini, le metafore migliori. Tra queste letture ci sono gli articoli di Draft, la nuova rubrica di Constance Hale sul New York Times. Pochi post fa ho segnalato il primo, […]
[…] a un particolare tipo di dati e di comunicazione. Stephen Few insegna, con un corposo libro, un sito e un blog. Però credo che un po’ più di pallocchi gioverebbero anche alla comunicazione […]