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risali negli anni

6 Aprile 2016

Una buona storia è un moto perpetuo

Eccomi con un post pieno di libri. Li racconto insieme, perché sono complementari e li ho letti in parallelo, trovando tante connessioni tra l’uno e l’altro.

La copertina di Into the woods. How stories work and why we tell them è rigorosamente nera, come il bosco che deve attraversare ogni eroina o eroe di una storia. Nel libro non c’è nemmeno una figura, solo qualche schema in bianco e nero. Ma John Yorke – sceneggiatore e produttore di famose serie per la BBC – nel suo libro solo apparentemente austero riesce a farci vedere tantissime cose.

Le circa 200 pagine sono quanto di meglio abbia letto finora su come funziona una storia. Non perché dica cose originalissime, ma perché:

  • le dice molto bene, in modo piano e scorrevole, ma immaginifico, persino meglio del pur bravo Robert McKee di Story
  • esemplifica ogni concetto e idea con scene tratte da film che tutti conosciamo e amiamo: Gente comune, Thelma e Louise, Il padrino, Notting Hill, Alien, Star Wars, Short cuts, Witness, e tantissimi altri.

Il cinema come quintessenza dell’arte di costruire e narrare storie, ma c’è un buon numero di incursioni anche nella letteratura e nelle arti figurative.

“Ogni forma di composizione artistica, come ogni linguaggio, ha una grammatica, e questa grammatica, questa struttura, non è semplicemente una costruzione – è l’espressione più bella e complessa del funzionamento della mente umana.”

Ascoltiamo e narriamo storie per dare ordine al caos dentro e fuori di noi, per scoprire e realizzare chi siamo davvero, per conciliare gli opposti, per imparare, qualche volta per rinascere a nuova vita. Perché la mente, la biologia e la fisica funzionano così, secondo quella semplicissima struttura tripartita che governa tutta la nostra vita e quella della natura:

nascita > crescita > morte

crisi > climax > risoluzione

crisi > scelta > cambiamento

partenza > viaggio > ritorno

Così, la struttura drammatica di base è quella in tre atti, che si ripete man mano che si scende verso le minime unità del film: le scene e infine i beat. Proprio come un frattale, l’unità più piccola si ripete continuamente nella struttura fino a creare l’insieme.

Mentre spiega come e soprattutto perché funziona un film, Yorke ci parla di noi: ogni protagonista è il nostro avatar, ogni antagonista è la nostra parte oscura e le nostre paure, ogni crisi la nostra opportunità di rinascita.

“Il bravo scrittore è quello capace di connetterci con chiunque”

Anche il personaggio più cattivo e detestabile rappresenta una parte di noi. Forse la più nascosta, la più difficile da stanare. Ma stanarla è proprio quello che fa una grande storia.

Al cinema la verità, la nostra verità – e quindi l’emozione – scaturisce da ciò che non si vede, da ciò che non viene detto, ma siamo noi a prevedere, a intuire, a immaginare, a cogliere da una contraddizione o da un’azione impercettibile come uno sguardo. Perché, proprio come noi, i personaggi affascinanti e complessi spesso fanno e dicono il contrario di quello pensano e vogliono davvero. Il capitolo sul sottotesto è forse il più bello e il più istruttivo per tutti, anche per noi scrittori professionali: le emozioni non si proclamano e non si annunciano, si suscitano.

“La spiegazione uccide il dramma, così come l’impulso di rendere immediatamente tutto chiaro a tutti.”

Una struttura archetipica tripartita è alla base di ogni storia. Tutto il resto è ritmo e stile, come nella musica:

“Sembra impossibile capire come, con sole otto note in un’ottava, semplicemente non finiamo mai la musica, ma proprio come dai toni nascono i semitoni e le indicazioni del tempo, così il ritmo e lo stile cambiano il contenuto e noi cominciamo a vedere che uno schema semplicissimo contiene in sé la possibilità di infinite variazioni.”

Le infinite variazioni testuali determinate dal ritmo e dallo stile sono il tema di The art of X-ray reading di Roy Peter Clark. Clark è il decano del Poynter Institute, uno dei più noti docenti di scrittura statunitensi per il quale sono passati diversi premi Pulitzer. Io lo seguo da molti anni, ho letto tutti i suoi libri e lo annovero tra i miei maestri. Questo libro, uscito a febbraio, lo aspettavo con ansia perché Clark vi mette in pratica la raccomandazione di Steven Pinker: imparate a scrivere facendo il reverse engineering di testi eccellenti, cioè smontateli, capite perché funzionano così bene, prendete il meccanismo e applicatelo ai vostri testi.

Clark smonta per noi 25 capolavori della letteratura mondiale. Ora non vi spaventate pensando che Moby Dick, Madame Bovary, Macbeth e Addio alle armi sono modelli inarrivabili… Clark non è un linguista, ma un giornalista e un bravissimo divulgatore. In ogni capitolo esamina solo un breve brano, anzi lo passa appunto ai raggi X, lo disseziona per farci vedere lo scheletro, i tessuti, i muscoli e le vene, frase per frase, parola per parola, virgola per virgola. Ogni capitolo un tema, che ci viene restituito alla fine in forma di strumento, di attrezzo che possiamo usare anche noi nei nostri testi quotidiani. Senza timori reverenziali.

“Il tuo testo deve muoversi, muoversi, muoversi. Dal concreto all’astratto. Dal particolare al generale. Dal’idea all’esempio. Dal’informazione all’aneddoto. Dall’esposizione al dialogo. Un buon testo è una macchina del moto perpetuo che porta avanti la storia e fa che il lettore senta l’energia.”

Sì, leggere è proprio questo: un andare.  Nel libro di Clark, ogni scrittore ci offre uno strumento per far correre, rallentare, fermare, inchiodare, stupire il nostro lettore: Nabokov è il mago dei suoni, Hemingway di ripetizioni sottili di parole semplici “che risuonano come battiti del cuore”. Sylvia Plath ci insegna a usare le metafore in prosa e a moltiplicarne l’effetto collocandole alla fine del periodo, Shakespeare a spostare le parole per effetti di enfasi, anche (soprattutto!) in una frase brevissima. Garcia Marquez è maestro nel creare il curiosity gap, quel mistero che ci porta necessariamente a leggere oltre. Flaubert fa parlare l’anima di Madame Bovary attraverso quello che la donna non dice. E i classici, Omero e Virgilio, sono registi ante litteram, tanto sono capaci di volare su un paesaggio e subito dopo zoommare su un dettaglio.

Il testo più lungo esaminato è Il grande Gatsby, perché Clark ne coglie la coerenza attraverso un leitmotiv che lo apre, lo percorre e lo chiude, ma così leggero da rivelarsi solo alla lettura ripetuta e profonda. Il più breve è una battuta di Macbeth: “The queen, my lord is dead”.
Perché – proprio come sottolinea anche Yorke in Into the woods –  un’opera cresce dalla moltiplicazione delle sue unità minime, come un frattale. L’unità minima di un testo è la frase e Clark dedica uno degli ultimi capitoli a dieci frasi iniziali di altrettanti capolavori della letteratura: ognuna un mondo.

Il Clark docente è sempre accanto al lettore appassionato: alla fine di ogni capitolo trovate le Writing Lessons, chiare e divulgative, con suggerimenti utili per tutti.

Le storie sono uno dei principali strumenti del leader, anzi del torchbearer, insieme ai discorsi, alle cerimonie, ai simboli. Ne parla Nancy Duarte nel suo ultimo libro, Illuminate. Anche la regina californiana del presentation design è tra i miei maestri: Illuminate non ha l’impatto pratico di Slideology o di Slidedocs, né l’afflato lirico di Resonate, ma è il libro frutto di molta ricerca, con tanti casi interessanti e in più è esteticamente impeccabile, con illustrazioni originali e bellissime fotografie in bianco e nero.

Ogni grande cambiamento aziendale è un’avventura epica in cinque atti – dream, leap, fight, climb, arrive – e il leader è il suo eroe. Per trascinare le persone nel suo sogno e portarle alla vittoria tiene discorsi, racconta storie, organizza cerimonie rituali, usa simboli.

Oltre un po’ di ripetitività, che ormai è la costante di tanta saggistica anglosassone sulla comunicazione, il libro ha due pregi:

  • per essere nato nella più importante azienda di design della Silicon Valley è un vero inno alla fisicità: niente web né app, ma tantissimi oggetti quotidiani, modalità di incontro e scontro tra persone, luoghi veri – bar, fabbriche abbandonate, villaggi africani –, abbracci, lacrime, disegni, pitture, persino lanci di uova
  • ci sono tanti casi veri di crisi superate grazie alle visioni e alla tenacia del leader-eroe, e non solo i soliti Steve Jobs e Martin Luther King. Per ognuno, c’è il kit di strumenti con tanti esempi di discorsi, storie, cerimonie e simboli.

Molto human-to-human, insomma.

 

6 risposte a “Una buona storia è un moto perpetuo”

    • Secondo me, un ottimo scrittore sa dire in profondità ciò che altri sanno esprimere solo in lunghezza.

  1. Gentile Luisa Carrada: Grazie mille per la sua generosa recensione del mio libro. Molto cordialmente. Roy Peter Clark

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