Dopo due libri decisamente brutti, questa settimana mi sono rifatta con un libro decisamente bello: The Happiness Hypothesis di Jonathan Haidt, docente di psicologia alla Stern School of Business della New York University. Il sottotitolo dice molto: Finding Modern Truth in Ancient Wisdom. Haidt rilegge le indicazioni degli antichi di oriente e occidente per una vita felice alla luce delle più recenti ricerche di psicologi e scienziati.
Ci sono molte nostre conoscenze: famosi testi indiani come la Bhagavadgītā, il Buddha, Platone, Epitteto, Freud, Robert Cialdini con la sua reciprocità persuasiva, Mihály Csíkszentmihályi con il suo flow. Più tanti (per me) sconosciuti ma affascinanti ricercatori contemporanei. Nonostante l’affollamento e la documentazione (un quarto è fatto di note), il libro è terso, chiaro, godibilissimo. Un esempio di cosa dovrebbe essere la scrittura accademica e più di una volta mi sono ritrovata a invidiare benevolmente gli studenti del primo anno cui Haidt fa il corso base di psicologia. Ah, avercelo avuto un prof così!
Se siete curiosi, visitate il sito del libro o guardatevi una TED Conference di Haidt. Il post di oggi ha un tema ben preciso, una cosa piccola se paragonata ai tanti temi del libro – la felicità, l’amore, le avversità, l’educazione dei figli –. Riguarda la scrittura.
Uno dei miei primi post di questo 2015, Caro diario, ti leggo e ti scrivo, riguardava la mia meraviglia e il mio entusiasmo dopo aver riletto le centinaia di pagine che avevo scritto negli anni, alcuni davvero difficili. Ora lo psicologo sociale Jonathan Haidt conferma: sì, le ricerche ci dicono che tra le tante attività che possiamo svolgere per superare le difficoltà e trovare un senso alla nostra vita – condizione indispensabile di ogni vita felice – la scrittura è ai primissimi posti. Le ricerche lo dimostrano: certo che fa bene confidarsi con gli amici, certo che fa bene dedicarsi agli altri, certo che fa bene ricominciare dal corpo quando non abbiamo più parole per esprimere il dolore né lacrime per piangere, ma nessuna di queste attività ha gli effetti duraturi sulla salute che ha la scrittura.
Perché scegliere le parole per la pagina non è come parlare con un amico o allentare la tensione in una corsa: si va molto oltre lo sfogo. Guardare e sentire le parole in solitudine, contemplarle a volte, passarci del tempo, rileggerle nel tempo, ci fa finalmente capire.
Bisogna ricorrere alle parole. Perché le parole ci aiutano a creare una storia che ha un senso. Se si è capaci di scrivere la propria storia, si raccolgono i frutti della riconsiderazione cognitiva (insieme all’agire diretto, una delle due modalità per uscire dalle avversità), anche anni dopo un evento. Si può chiudere un capitolo ancora aperto della propria vita, che ancora condiziona i nostri pensieri e ci impedisce di andare avanti verso una storia più ampia.
Non importa se fossimo o meno preparati quando il colpo è arrivato. A un certo punto, anche mesi dopo, tira fuori un pezzo di carta e mettiti a scrivere. Anche solo un quarto d’ora al giorno, per molti giorni di seguito. Non ti correggere, non ti censurare; non preoccuparti della grammatica e della sintassi; continua a scrivere. Scrivi cosa ti è successo, come ti senti e perché ti senti così. Non imporre un ordine ai pensieri. Quell’ordine, col tempo, emergerà da sé.
A me è successo, succede esattamente così.
È proprio quello che succede da 16 anni ad Anghiari alla Libera Università dell’Autobiografia, è quello che dice da 16 anni Duccio Demetrio, formando ormai centinaia di autobiografi che trovano al felicità semplicemente con una penna in mano o una tastiera sotto le dita. Autobiografi che scrivono per loro stessi, spesso, anzi quasi esclusivamente, senza veleità di pubblicazione. Una ricerca di se stessi attraverso al scrittura.
Meglio del divano dello psicanalista, ed è pure gratis 🙂
Buongiorno Luisa, sto seguendo un corso di scrittura autobiografica con l’insegnate che arriva proprio dalla scuola di Duccio Demetrio, e ne sto organizzando uno con Sonia Scarpante sulla scrittura terapeutica.
Sono viaggi intimi e grandi allo stesso tempo e siamo noi stessi che, senza sapere la meta finale, ne scopriamo ogni passo in maniera profonda e inconsapevole.
La penna ci guida…
Simonetta
Quanto è vero e quanto mi ci ritrovo! Luisa grazie, come al solito 🙂
Scrivere parole proprie è bello, ma ugualmente bello è leggere parole come le tue, cara Luisa, così piene di logica e cuore al tempo stesso.
Quando non riusciamo a mettere su carta ciò che pensiamo e proviamo leggere i pensieri di chi ci è riuscito, come te, può diventare catartico.
Sei una di quelle persone che non scrive mai “vuoti a perdere”: tutto va archiviato e custodito preziosamente.
Buon tutto a te e a tutti i fortunati lettori del tuo blog
Marinella Simioli
marinella.simioli@virgilio.it
Mamma mia! Grazie 😉
è vero, scrivere in alcune fasi della vita è fondamentale. Io ho iniziato a “scrivere” quando ho avuto un cancro; scriverne mi ha aiutato a vedermi distaccata dalla malattia e non più io=cancro, scriverne mi ha fatto “incontrare” persone con le quali condividere le emozioni che un cancro comporta e …da allora non ho più smesso di scrivere, è diventato un bisogno quasi fisico, nei momenti di tensione quando sento che sopraggiunge l’ansia con i suoi attacchi tiro fuori dalla borsa il mio quadernetto e scrivo ….fiabe ..mi immergo in un mondo fantastico e supero il momento di difficoltà e di ansia… scusa forse sono andata fuori tema dal tuo post…
Noooo, sei super in tema!
Luisa
[…] bellissimo post mi ha fatto scoprire un sito e un libro molto interessante “The […]
[…] e interscambiabili. Ho letto qualche giorno fa un articolo di Luisa Carrada in cui narra dello scrivere per essere felici e io mi ci sono riconosciuta. Oltre al fatto che abbiamo scritto per far felici i ristoratori che […]
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