Come una brava scolaretta all’inizio dell’anno scolastico, al rientro delle vacanze mi sono riproposta di leggere di più, soprattutto libri. Sarò stata sfortunata, non avrò scelto bene, mi sarò fatta ingannare dalle recensioni stratosferiche che ho trovato su Amazon, ma i primi due libri della lista li ho finiti proprio per carità.
Prendete nota: The Reader’s Brain: How neuroscience can make you a better writer, appena uscito presso Cambridge University Press è una diluita e brutta copia di The Sense of Style di Steven Pinker; Message not received. Why business communication is broken and how to fix it, anche questo uscito da pochissimo presso una casa editrice prestigiosa come Wiley, è il nulla assoluto, costa 20 euro in versione digitale e non vale nemmeno una stelletta.
Delusa e abbastanza disgustata dalla ricetta ormai imperante – una montagna di storytelling dove non serve, introduzioni fiume su cosa il libro è e cosa non è, una pletora di metafore inutili, zero esempi –, ho deciso di piantarla con i libri e di fare un bel corso online di quelli tosti, robusti (mi sono detta). Spulcio Coursera e simili, faccio la mia lista di corsi… finché incrocio Adventures in Writing. Il titolo tanto bene non promette – penso –, ma il fatto che il corso lo offra (sì, è gratis!) l’università di Stanford e che sia stato appena pubblicato mi convince a darci almeno un’occhiata. E le avventure mi conquistano.
La formula è leggera e totalmente interattiva: un graphic novel sul mondo del baseball (io di questo sport non capisco niente, ma non è necessario per godersi il corso) e tantissimi esercizi a risposta multipla. Il bello è che non si limitano a dirti quale è la risposta giusta, ma ti dicono perché è giusta e perché le altre sono sbagliate. Così, leggendo e quasi giocando, impari moltissime cose. E non sono cose elementari o scontate, anzi. Il primo modulo, quello che ho svolto per intero, è dedicato al linguaggio formale e informale, al tono di voce e allo stile da adottare quando si scrive in ambito universitario, un’email al professore o un saggio. Il bello – di nuovo – è che anche negli esercizi il tema è in gran parte il baseball, che non credevo si prestasse a mille esempi, metafore, sfumature.
Gli altri moduli, che centellinerò per quanto sono efficaci e godibili: Purpose, Audience and Context; Identifying Active and Passive Voice; Punctuation: Signposts to Guide Readers; Argument: Making and Support Claims.
È chiaro che dietro tanta leggerezza e naturalezza c’è un lavoro pazzesco, di tante persone, un progetto studiato nei minimi dettagli (guardatevi la squadra degli autori). Ma è un bellissimo esempio di come oggi si possa insegnare in modo diverso, senza perdere nulla in profondità e precisione, anche su temi difficili. E non rinunciate se pensate che il vostro inglese non sia all’altezza: tutti i “perché” degli errori servono anche a farci capire il significato di slang e parole difficili. Anzi, prendetelo anche come un corso di inglese. Un ottimo corso di inglese.
Grazie per questo approfondimento,
è sempre bello scoprire nuovi modi per insegnare che non scemino nella verbosità o nel già visto!
Grazie mille Luisa, era proprio quello che stavo cercando!
Molto interessante, grazie del suggerimento.
Tra l’altro, per percorsi mentali che mi sfuggono quasi completamente, questo tuo post mi ha spinto a rintracciare delle lezioni che avevo incominciato a seguire tempo fa e poi avevo completamente smarrito. E dopo una manciata di ricerche, pensa un po’, le ho trovate! Appiccico qui l’indirizzo della prima della serie, casomai incuriosisse anche te: https://www.youtube.com/watch?v=kBdfcR-8hEY
Grazie, sì davvero in rete ci sono cose bellissime. Ah, avere più tempo!
Palazzo Reale a Milano – Due mostre: “Giotto” e “I capolavori dal museo delle belle arti di Budapest” e relative audio-guide.
Direte che c’entra con la riflessione di Luisa?! C’entra e spiego il perché.
Le audio-guide hanno la funzione di spiegare in modo preciso le opere esposte (non solo il soggetto, ma anche la tecnica), il contesto e l’acquisizione soprattuto se sono opere provenienti da paesi diversi.
Bene. Mentre per Giotto la spiegazione era essenziale, circostanziata e esaustiva, per le opere di Budapest c’era un indulgere continuo al museo di provenienza, una spiegazione delle opere affatto circostanziata e ridondante, insomma un pasticciaccio, come i fiumi e le metafore di cui parla Luisa.
Povero visitatore se non attrezzato, povero lettore se non Preparato *_))
Grazie Fiorella, la mostra di Giotto la vedrò senz’altro e ne ho letto meraviglie. Tu non fai che confermare 🙂