Un paio di post fa menzionavo il “reverse engineering” dei testi come il metodo consigliato da Steven Pinker per smontarne e scoprirne il meccanismo interno. E così capire cosa funziona e cosa no.
È una cosa che faccio sempre – anzi ormai quasi esclusivamente, insieme al “reengineering”, ovviamente – nei laboratori di scrittura che tengo nelle aziende. Solo mettendo le mani in pasta si capisce e si impara davvero. E le parole sono una cosa concretissima, come i mattoncini del Lego: sono fatte per le più infinite combinazioni.
È una cosa che faccio anche tra me e me quando leggo qualcosa che mi colpisce, mi entusiasma, mi conquista. Mi viene spontaneo guardarci dentro per capire “perché”.
Qualche giorno fa ho incontrato in rete uno di questi testi: 12.400 caratteri, 2.133 parole, che corrispondono più o meno a 5-6 cartelle di carta. Eppure l’ho letto d’un fiato, senza fermarmi, sullo schermo del mio smartphone. Non sono stata la sola entusiasta:
L’autrice si chiama Lisa Vozza, fa la divulgatrice scientifica e cura la sezione dedicata alla biologia sul blog Aula di Scienze del sito di Zanichelli. La seguo e la ammiro da anni, tanto che i suoi post sono finiti nei miei due ultimi libri, ma questa volta ha superato sé stessa, per cui il “reverse engineering” del suo ultimo post è stato un istruttivo e irrinunciabile piacere.
A questo punto potete leggervi prima Comincia a prelevare e poi, se vi va, tornare qui, oppure fare il contrario. Insomma, fate voi.
Ma come fa un testo così lungo a tenere così inchiodati noi lettori sempre più frettolosi, impazienti e distratti?
1. Ha un titolo fulminante, misterioso, eppure informativo (anche se lo scopriremo dopo un po’)
Cosa ci sarà mai da prelevare? Il pensiero corre al denaro, ma in un blog di biologia?
E chi comincia? È un presente indicativo alla terza persona singolare o un imperativo?
2. Ha un incipit sorprendente: si tratta di una lettera a una certa Janet
“Mia cara Janet”… chi resiste dal mettere il naso nella corrispondenza privata di due signore?
3. Fin dall’inizio non “sappiamo” qualcosa, ma “vediamo” qualcosa
mi dicono che giravi per Oxford in una Mini gialla, ti vestivi di tweed e andavi in biblioteca fino a quasi novant’anni, con il tuo apparecchio acustico che, fischiando, disturbava gli altri lettori.
Non sappiamo ancora chi sia Janet, ma comincia a piacerci: è una signora vissuta molto a lungo, intraprendente, studiosa, curiosa, che se ne frega del parere degli altri. Lisa Vozza scatta un’istantanea fatta di sole parole, ma parole “vivide”, concrete, in un vero concentrato sensoriale: la vista con il colore, il tatto con il tweed, il fischio dell’apparecchio acustico. Siamo solo all’inizio e il nostro “teatro mentale” è già pieno. Come non proseguire?
4. Il dialogo tra le due signore si fa più intimo e fitto
Che modo impertinente di cominciare una lettera, penserai là dove sei. È che, vedi, la mia ammirazione per te è talmente sconfinata, che se partissi dagli elogi ti metterei in imbarazzo.
Se l’ammirazione è sconfinata, Janet deve aver realizzato davvero qualcosa di grande e importante. Come non leggere oltre? È l’effetto “trampolino”, quello che in un testo ci lascia sospesi sul bordo della curiosità alla fine di un capoverso, di una pagina, di una puntata. Gli scrittori dei romanzi a puntate lo padroneggiavano benissimo, e Lisa Vozza con loro.
5. Dopo il trapolino, arriva la staffetta
La “staffetta” – denominazione carradesca alla buona del passaggio del testimone da un periodo all’altro – è in questo caso affidata a una parola: ammirazione, che arriva puntualmente nel capoverso successivo:
L’ammirazione comincia per te bambina, quando hai ignorato quella preside che di te ha detto: «Troppo stupida per imparare». Poi prosegue, per il coraggio di decidere di fare il medico, in un’epoca in cui le dottoresse erano merce rara. Talmente rare che non le volevano neppure i più poveri dei poveri.
Quante informazioni in tre sole righe! Il racconto comincia da Janet piccola… bene, allora ora si va con ordine. Janet è un medico ed è vissuta un po’ di tempo fa. Janet è una donna coraggiosa, oltre che originale… la storia si fa interessante, ma Lisa svela le sue carte solo un po’ alla volta, tiene la nostra curiosità in sospeso proprio per tenerci e portarci con lei.
Alla fine, poi, c’è un’altra piccola staffetta tra le frasi: il testimone è l’aggettivo raro e la ripetizione è una figura retorica che si chiama anadiplosi.
6. Anche un breve capoverso è un cerchio che si chiude
Non ti volevano nemmeno i malati dei quartieri più tristi di Londra, dove ti avevano mandato, cara dottoressa Vaughan, durante la specialità. Lì un paziente ti aveva perfino detto: «Non c’è un medico maschio? Piuttosto che farmi curare da lei preferirei un nero». Fra emarginati ci si capisce, vero, Janet?
Si comincia con i malati, si chiude con gli emarginati. In questo piccolo cerchio perfetto conosciamo il cognome di Janet e un altro pezzetto della sua vita. Le difficoltà che si trova ad affrontare sono sintetizzate in una frase pronunciata come discorso diretto. Cosa c’è di più diretto?
7. Comincia il viaggio dell’eroe… ooops dell’eroina
Fra quei malati che avevano bisogno di tutto, come hai trovato il tempo, lo spirito, la sete per dedicarti anche alla ricerca? Perché è lì che ti sei chiesta se la cura migliore per l’anemia perniciosa fosse proprio l’arsenico. E non lo era, come avevi letto nei lavori di quel medico americano, George Minot, che aveva ottenuto risultati migliori con un estratto di fegato crudo.
È una lettera sì, ma è anche una storia e prima ancora di rendercene conto ci siamo dentro con tutte le scarpe. Come in ogni vera storia, anche la nostra eroina ha difficoltà apparentemente insormontabili da affrontare. Ce la farà? Per saperlo non possiamo che leggere oltre. E tifare per lei.
8. Il cerchio si allarga all’ambiente di Janet
Mentre cerchi di provare se la tua idea è buona, riesco a immaginarti grazie a tua cugina, Virginia Woolf, che ti ha messo in quella scena di Una stanza tutta per sé, in cui appari presissima a tritare i fegatini di cane. Siamo negli anni Venti, no?
Se Janet è tosta – ormai si è capito –, Lisa è abilissima nel tirarci dentro il testo. Ora stacca il primo piano dalla sua eroina e allarga il campo alla Londra degli anni venti. Janet è cugina di Virginia Woolf, che l’ha persino messa in un suo famossissimo libro.
9. Detto tra noi
L’idea di tentare con i cani, mi han detto, era del tuo capo, ma non aveva funzionato. Allora hai provato su di te. E la mattina dopo eran tutti lì increduli, in ospedale, a vedere se eri ancora viva. Vivissima, eri, cara Janet. Allora il grande professore ha deciso di dare l’estratto di fegato a un paziente in fin di vita, che è sopravvissuto.
Ovviamente il prof si piglia tutto il merito, ma tu, Janet, te ne sbatti, come direbbe mia figlia, e te ne vai a Harvard. E lì la tua passione per il sangue continua. Ma neppure negli Stati Uniti, un Paese assai meno snob della tua vecchia isola, una donna medico veniva accolta a braccia aperte. Tanto meno se voleva fare ricerca. Per te, Janet, non c’erano né pazienti, né topi. C’erano solo «bloody pigeons»: così chiamavi i tuoi cari piccioni, che tanto ti hanno detto sulla vitamina B12.
Lisa sembra ignorare noi lettori, tanto è fitto e confidenziale il suo dialogo con Janet. Quella confidenza tra donne è data dai tanti incisi – mi han detto, ma tu, Janet, ne ne sbatti, come direbbe mia figlia – così credibili e “parlati”, che costellano tutti gli oltre 12.000 caratteri. E se ci sembra ormai di vedere Janet in carne e ossa, ci sembra anche di “sentire” Lisa e di immaginarla mentre scrive la sua lettera. Lo spettacolo ha avuto inizio e noi lì – apparentemente ignorati – ma ormai presi. Come al cinema, come a teatro.
10. Il potere delle domande
Dimmi la verità, Janet, non ti venivano mai i nervi? Neanche in quell’ospedale in cui lavoravi dopo il ritorno in Inghilterra, appena sposata? Sì, quel posto a Londra, dove gli altri medici che ormai conoscevano la tua reputazione, e avevano bisogno dei tuoi consigli, ti scrivevano delle lettere pur di non parlarti!
E come ti sei sentita, Janet, quando quel paziente ti ha chiesto di non dargli più quella medicina, l’estratto di fegato, perché gli faceva venire fame e lui non aveva i soldi per mangiare? Non sai che cosa darei, Janet, per vedere la sua faccia, e la tua, in quella corsia d’ospedale londinese degli anni Trenta.
Lisa è curiosa, chiede, interroga, incalza. Non solo sulla vita di Janet, ma sui suoi stati d’animo, i suoi sentimenti.
11. Empatica, ma precisa
Lisa sa, e sa usare con precisione i termini tecnici. E qui abbiamo un rassicurante sussulto: capiamo che non ci ignora affatto, anzi. Sa perfettamente che sta scrivendo sul blog del sito di una casa editrice per la scuola, sa che che la leggono gli insegnanti di scienze, gli studenti (magari!), i giornalisti scientifici come lei, le blogger curiose come la Carrada. Curiose, ma ignorantissime. Ed ecco che arrivano, piano piano, le parole tecniche e specialistiche: anemia perniciosa, citrato di sodio, coagulazione, gruppi sanguigni. Centellinate, inserite in un contesto narrativo che ce le fa capire, senza bisogno di tante spiegazioni.
12. Una corsa piena di ritmo
Io non credo che Lisa abbia letto tutti i sacri testi sull’usabilità e la lettura dei testi in rete (legge altro e fa benissimo), ma nella sua lunghissima lettera applica alla perfezione il modello “a strati” o “millefoglie” raccomandato da Jakob Nielsen, quello che ci assicura lettori che hanno voglia di scrollare di capoverso il capoverso. Il millefoglie ha un ritmo incessante, lo abbiamo visto e soprattutto “sentito”, ma Lisa ce lo fa anche vedere in pagina: capoversi di tre-quattro righe al massimo, con un incipit in grassetto:
È quello che un grande information e newspaper designer, Mario Garcìa, chiama “multisegment storytelling”.
Come si crea questo ritmo trascinante, così naturale e credibile? Studiando e preparandosi tanto, facendo propri i contenuti, digerendoli non solo al fuoco della conoscenza ma anche a quello della passione. Sono sicura che Lisa si è messa a scrivere solo quando si è sentita pronta e che ha scritto di getto 🙂
Io mi fermo qui, ma la storia è solo a metà. Sappiate che la nostra eroina ne ha ancora di peripezie da attraversare, ma sfiderà intrepida le condizioni più difficili, come i bombardamenti su Londra. La sua vita – almeno questo lo sappiamo dall’inizio – è stata lunghissima: scoprite cosa è riuscita a fare questa magnifica dottoressa per i suoi colleghi, per le donne, per ciascuno di noi. Non potrete fare a meno di pensarla con gratitudine ogni volta che varcherete la soglia di un ospedale o vedrete passare a sirene spiegate una macchina dell’emergenza sangue.
In Studio, dunque scrivo Claudia Trequadrini e io abbiamo inserito il genere dell’intervista come tipologia testuale da praticare a scuola, con molti esercizi, a partire dalle famose interviste impossibili ai grandi personaggi da parte di Umberto Eco, Italo Calvino, Alberto Arbasino e tanti altri. Be’, ora ci metterei il genere della lettera – come magnifico esercizio di scrittura – e partirei proprio da questa. Se qualche insegnante ne farà scrivere una ai propri studenti, ce lo faccia sapere però!
leggere questo post mi fa venire una gran voglia di prendermi cura del mio scrivere…peccato che ci diano solo due vite, me ne servirebbe una terza!
Ho l’articolo tutto d’un fiato, immergendomi completamente nella storia narrata e sentendomi li, sul posto, nei luoghi descritti..meraviglioso!
Alterno meraviglia a invidia..riuscirò mai a scrivere cosi?
Grazie per avermi fatto scoprire questo momento di trasporto, tra le letture fugaci nel web raramente accade.
Complimenti per l’articolo..e per il post che me lo ha fatto scoprire!
Inspiegabilmente mi ha fatto commentare con l’anonimo..ovviamente ho un nome e un volto! 🙂
Grazie, Luisa. Ogni post è una bella e gustosa scoperta.
[…] Commento di Luisa Carrada a “Comincia a prelevare” […]
Sei un tesoro Luisa, chi ti ha trovato non ti lascia più!