La mostra Leonardo 1452-1519, che ho visitato qualche giorno fa al Palazzo Reale di Milano è grandiosa ed emozionante. Certo, la user experience nel suo complesso non è proprio il forte delle mostre di Palazzo Reale, con fin troppi pannelli da leggere, ma le opere sono tantissime e l’audioguida è un bel racconto, preciso, concepito davvero per l’ascolto.
Anche chi conosce bene Leonardo vi scoprirà molte cose che non sapeva, ma è il taglio della mostra a essere davvero interessante: il disegno di Leonardo come lo strumento di indagine dell’uomo e della natura e Leonardo sì come genio ma un genio pienamente collocato nel suo tempo.
Se trovarsi a tu per tu con i disegni e i codici di Leonardo emoziona (mai ne ho visti così tanti, tutti insieme!), il confronto continuo con i contemporanei fa capire meglio come nascono le soluzioni geniali di Leonardo pittore, scultore, architetto, inventore e scienziato. Insieme a lui ci sono Botticelli, Ghirlandaio, Lorenzo di Credi, i suoi allievi di bottega, Francesco di Giorgio Martini, Filarete e alla fine, anche Andy Wahrol, Duchamps e un meraviglioso Corot. Ma soprattutto c’è il suo maestro, Andrea Verrocchio.


Andrea Verrocchio aveva una delle botteghe più fiorenti della Firenze del secondo quattrocento, piena di aiuti e allievi, tra cui il giovanissimo Leonardo. Un racconto di Giorgio Vasari, ricordato in tutti i libri di storia dell’arte, vede l’allievo superare il maestro in un dipinto che rappresenta il battesimo di Cristo: l’angelo di lato, bellissimo, spiccherebbe su tutto grazie alla mano del giovane Leonardo. “Il che fu cagione ch’Andrea mai più non volle toccar colori, sdegnatosi che un fanciullo ne sapesse più di lui.”
La mostra mette vicino due capolavori dei due artisti in un confronto che mi ha veramente stregata, talmente è fitto di rimandi, riflessi e opposizioni sottili. Entrambi sono ritratti di donna. Ignota quella di Verrocchio, incerta quella di Leonardo, che però nella tradizione prende il nome della giovane amante del re di Francia Francesco I.
I due sembrano essersi scambiate le parti. Lo scultore orafo Andrea Verrocchio tratta il marmo con una morbidezza palpitante tutta leonardesca: la tunica è leggerissima, un velo che si increspa in mille pieghe come nei disegni di Leonardo, che studiava instancabilmente i panneggi su tele di lino. Leonardo, invece, realizza il più scultoreo dei suoi dipinti: contorni netti e un vestito che sembra cesellato da un orafo.
Il fulcro della scultura sono le mani, sensibili e vibranti, che stringono al petto un mazzolino di fiori; gli occhi della dama sono due mandorle vuote, come un volto di Modigliani. Nel dipinto, invece, la bella Ferronière nasconde le mani sotto la balaustra ed è tutta occhi. Guarda intensamente, in direzione di qualcosa o qualcuno che non vediamo e invano cercheremo di incontrare i suoi occhi. Si volgono all’improvviso, volitivi e decisi, come il suo busto, aprendo uno squarcio sull’anima: per Leonardo atteggiamenti, movimenti e sguardi delle persone ritratte erano sempre “moti della mente loro”. Ma moti misteriosi, come quelli di questi occhi o del sorriso della Gioconda.
Leonardo da Vinci seguendo Freud rappresentò nel quadro la Vergine, Sant’Anna e il bambino con l’agnello, un bambino con una doppia madre, mentre nella prima, delle due Vergine delle Rocce, adesso al Louvre, si può supporre una madre con un doppio bambino. Il tema del doppio, dello specchio era insito in Leonardo che leggeva e scriveva a rovescio senza problemi. Un altro elemento speculare ricorsivo del quadro è la mano rocciosa che sovrasta e contiene quella aperta di Maria. Tutti i quadri di Leonardo mostrano in un modo o nell’altro questa caratteristica. Gli aspetti speculari, inclusivi, ricorsivi sono il sigillo del genio. Che ritroviamo in Gesù tramite i Vangeli e la Sindone, e in Michelangelo Buonarroti negli affreschi della cappella Sistina. Non solo un’intelligenza simile nel metodo ma anche un volto somigliante. Cfr. Ebook. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.