
“L’attacco è come la luce di una torcia puntata sul fondo del pozzo della storia. Non è necessario vedere tutto fino al fondo, ma è necessario vedere attraverso l’oscurità.”
Sì, l’attacco è talmente importante – per qualsiasi testo, su qualsiasi medium – che Roy Peter Clark lo paragona a una luce che fin dall’inizio deve almeno far intravedere cosa c’è oltre. Lo fa in un bellissimo pezzo su poynter.org, il sito di riferimento per la scrittura giornalistica a livello mondiale, in cui esamina l’attacco di tutti i testi vincitori dell’ultima edizione del Pulitzer.
“Esaminare” per Clark significa “passare i testi ai raggi X”, cioè guardare oltre la superficie, per svelare il meccanismo interno grazie al quale un testo funziona (o non funziona). Una cosa concretissima, come il meccanismo di un orologio, solo che invece di rotelle e lancette ci sono lessico e sintassi. Clark smonta e rimonta sotto i nostri occhi di lettori.
È quello che un altro grande “smontatore” di testi, lo psicologo del linguaggio Steven Pinker, chiama il “reverse engineering” e raccomanda a tutti coloro che desiderano migliorare la propria scrittura. In inglese “reverse-engineering” significa esaminare un prodotto, scoprirne i dettagli di materiali e costruzione per poterlo riprodurre. Possiamo fare lo stesso con i testi che ci piacciono: smontarli e rimontarli significa leggerli e rileggerli con estrema consapevolezza per scoprirne il meccanismo interno. Una cosa molto più utile del famoso ma generico “per imparare a scrivere bisogna leggere tanto”.
L’incipit di un testo è sempre stato importante, anzi, fondamentale. Chi non ricorda o non ha mai citato l’espressione del poeta latino Orazio “in medias res”? Nell’Ars Poetica Orazio si riferiva allo stile epico di Omero, che cominciava i suoi poemi portandoci nel vivo di un avvenimento, senza tanti preamboli e premesse.
È un invito di una modernità assoluta, soprattutto per noi che scriviamo testi destinati a essere letti su uno schermo, spesso in mobilità, con altri mille testi che si contendono l’attenzione del lettore o del cliente. Oggi, più che mai, l’incipit è tutto e deve gettare la sua luce su quello che viene dopo. È letteralmente tutto, perché dallo schermo vediamo solo quello, e se leggiamo dallo schermo dello smartphone o lo ingrandiamo dallo schermo del tablet, è un tutto piccolissimo. La sua luce, allora, deve essere potentissima.
Ce lo ricorda, semmai ce lo fossimo scordati, uno degli ultimi articoli di Jakob Nielsen: The Fold Manifesto. La famosa “piega” è il confine tra ciò che lo schermo mostra e ciò che possiamo vedere solo scrollando. Se nel quotidiano di carta questo confine è ben tracciato, sullo schermo è labile e fluttuante perché cambia a seconda del device sul quale si legge e della visualizzazione dell’utente. E allora, come si fa? “The fold is a concept” ci dice Nielsen. Tradotto in pratica, significa scrivere sempre attacchi forti e significativi, che facciano intuire cosa c’è oltre e invitino a scrollare, un’azione che compiamo solo se abbiamo tanta curiosità o una buona ragione. E qui si incontrano la poesia di Clark e le evidenze delle ricerche di eyetracking di Nielsen.
Naturalmente la quantità e la qualità della luce che il nostro incipit deve gettare su tutto il pezzo cambia a seconda del contenuto, del target, del medium e dell’obiettivo comunicativo. Concentrata e precisa se comunichiamo al cliente un’informazione importante per lui o se la notizia sarà letta su un device mobile: titolo informativo e preciso, informazione più importante nella prima riga, meglio se con un primo periodo breve. Più ampia e soffusa se il testo è lungo, narrativo, coinvolgente: allora il titolo si può sdoppiare nel sottotitolo per integrare informazione e curiosità; l’incipit può essere persino lungo, attirare il lettore e trascinarlo oltre grazie a una sintassi coinvolgente e sinuosa.
Su questo blog leggi anche:
Che ne dite di un testo a forma di imbuto?
I geometrici labirinti sintattici di Maria Popova
La luce è necessaria anche quando si fa un intervento, una relazione, una presentazione.
Pare ovvio, ma così non è. Lo dico perché da giorni sono alla ricerca del mio incipit per una presentazione. C’è anche divertimento in questa ricerca…*_))
[…] Se si decide di voler seguire in proprio la pubblicazione del proprio testo, e di solito lo si fa puntando il mercato dell’editoria digitale, vi consiglio di riflettere su almeno questi due punti. Il primo è sul marketing e sulle “quarte di copertina”, attraverso la lettura dell’articolo di Helgaldo, su “Appunti a margine” di Chiara Solerio, dal titolo: Quarte di copertina – cosa sono, come si scrivono. Il secondo riflettendo sul fatto che il mercato dell’e-book cerca di invogliare all’acquisto proponendo le prime pagine del libro: dopo aver dato un’occhiata ai risultati della gara di incipit che abbiamo fatto qui la settimana scorsa, leggete le considerazioni di Luisa Carrada de “Il mestiere di scrivere” a proposito delle prime parole di un testo e della loro importanza: Incipit: il lato razionale, il lato poetico. […]
[…] paio di post fa menzionavo il “reverse engineering” dei testi come il metodo consigliato da Steven […]
Per un buon incipit sono necessarie solo due cose: la buona conoscenza della lingua e il talento. L’arte ha la sola regola di non avere regole.