Perché la carta è meglio si intitola la segnalazione/recensione di Words Onscreen di Naomi Baron, firmata da Roberto Casati sulla Domenica del Sole 24 Ore di ieri.
Al di là della semplificazione giornalistica del titolo, anche i più entusiasti del digitale (in cui mi metto anch’io) ormai convengono che in alcuni casi la carta è meglio. Per me, è meglio per studiare, digerire, fare mio, ricordare.
La sorpresa delle ultime ricerche è che a preferire la carta per studiare sono anche i ragazzi. Il manuale cartaceo vince decisamente sullo schermo.
Il libro della Baron – il recensore lo fa elegantemente capire tra le righe – è lungo ed è anche un po’ una pizza. Quindi lui stesso ci fa una breve panoramica delle ricerche più recenti e affidabili:
- Studio di Laura Bowman e colleghi (2010). Gli studenti universitari del gruppo di controllo prima rispondono a un certo numero di messaggini, poi leggono un testo. Quelli del gruppo sperimentale rispondono ai messaggi mentre leggono un testo. I primi ci mettono più tempo a completare la lettura del testo.
- Meta analisi di De Stefano e Lefevre (2007). Chi legge seguendo i link ipertestuali capisce meno di chi legge in modo lineare (ipotesi: il primo usa in modo non ottimale la propria memoria, sovraccaricata).
- Studio di Ann Mangen e colleghi (2013). Peggiori risultati, per studenti universitari, nella comprensione di un passaggio di 1.500 parole su un pdf su schermo rispetto a uno stampato (ipotesi: è più facile nel secondo caso creare una mappa mentale del testo che si legge).
- Studio di Cynthia Chiong e colleghi (2012). I bambini della scuola materna che co-leggono con i loro genitori ricordano meglio la storia quando la sorgente è cartacea rispetto a quando viene usato un ebook “aumentato” (ipotesi: si interessano di più a tutti gli “aumenti” e non fanno attenzione alla storia).
- Lavoro di Ferris Jabr (2013) sulla preferenza del cervello per la carta uscito su Scientific American: la semplicità tecnologica del libro di carta è la sua arma vincente per la qualità della lettura.
- Studi della Cost Action Fps 1104 della Commissione Europea e della stessa Baron. Gruppi di studenti universitari intervistati in diversi paesi danno una preferenza schiacciante ai manuali cartacei rispetto a quelli su schermo. Uno studio dell’università Bicocca di Milano conferma.
Casati distingue, giustamente, tra leggere e studiare:
Studiare su un manuale non è come leggere un romanzo e tantomeno guardare un video. Il fatto è che studiare non è facile e le strategie per ottenere buoni risultati sono molte e diversificate; per quel che ne sappiamo, vengono esaltate dall’ecosistema della carta e mortificate dagli schermi. Si deve evitare la distrazione e il continuo mettersi a fare altro. Ci sono frequenti andirivieni tra parti già lette e parti che si stanno leggendo. Si usa una memoria tattile (la mano inserita a pagina 106 serve da promemoria mentre si legge a pagina 130) completamente inoperante con gli schermi (anche i touchscreen, che non aumentano affatto ma riducono drasticamente il nostro repertorio tattile, contrariamente alla vulgata pubblicitaria). La doppia pagina di carta aperta, stabile, viene automaticamente scansionata e “mappata” dal nostro cervello cartografico, che fa molta più fatica con un testo liquido che scorre (con buona pace dei vati della liquidità del mondo). La nostra memoria viene confortata dal fatto che una pagina di carta voltata continua a esistere come oggetto; la schermata è invece il risultato di un processo per sua natura effimero, e una volta passata, è come se non esistesse più – come ha detto uno studente.
Il tema della lettura nel passaggio dalla carta al digitale mi appassiona e ne ho scritto più volte. Eccole:
Il ritorno dello slow reading
Pensieri e progetti in movimento
Tra una parola e l’altra, il tempo di ridere e piangere
Sul web, così si legge, così si scrive (dati alla mano)
Letture e carte topografiche
Il cervello che legge, e noi che viviamo
Continuare a danzare con i testi
Anatomia della lettura
Nanocontent per minischermi
Leggere sullo schermo, meno facile di quanto pensiamo
Io resto con la sensazione che sia ancora troppo presto per capire quello che realmente ci accade, passando dalla carta allo schermo, anche se gli studi che citi dicono il contrario.
Per me è essenziale la carta nello studio, proprio perché posso sottolineare, annotare parole chiave o concetti. E riesco a memorizzare di più proprio per tutte queste attività che posso fare sulla carta, oltre al fatto che la lettura a video mi crea sempre qualche problema agli occhi.
Da quando uso il computer – più di venticinque anni, ormai – ho sempre avuto l’impressione di riuscire a ricordare molto meno di ciò che leggo sullo schermo rispetto alla carta, la cui materialità stessa mi sembra aiutare il processo di memorizzazione rispetto all’evanescenza e alla dispersione del formato digitale (pur così comodo per trovare fulmineamente risposta a un quesito, soddisfare una curiosità, approfondire un aspetto, vedere un’immagine di ciò che si sta leggendo, e tante altre bellissime e utilissime cose). Mi fa molto piacere scoprire che non sono la sola e che addirittura diverse ricerche lo confermano.
Se parliamo di romanzi, ho poca esperienza di lettura su schermo (ovviamente e-reader!), ma se parliamo di manuali e di testi oggetti di studio in genere, non posso che concordare. Per lavoro consulto moltissimi testi normativi: per un periodo ho usato le annotazioni direttamente sul pdf (oggigiorno qualunque pdf reader free è in grado di salvare note, sottolineature e scarabocchi direttamente sul documento), ma è durata poco. Risparmiavo un sacco di carta, certo, ma era impossibile mappare nel mio cervello quei testi che scorrevano sullo schermo, dei quali non riuscivo a focalizzare i punti nodali, men che meno a ricordare le annotazioni che io stesso inserivo! Che il nostro cervello sia “cartografico” lo dimostra in particolare lo studio di un copione. Sfido chiunque a memorizzare un copione senza usare la carta… Nei passaggi più difficili di un testo teatrale, la mappatura della pagina può essere l’unico modo, per un attore, di orientarsi tra una battuta e l’altra e di salvarsi dalla scena muta quando si trova sul palco. Capita spesso, infatti, di non ricordare affatto le battute degli altri personaggi, ma di ricordare – ad esempio – che “qui tizio deve intervenire con un’esclamazione, qua devo aspettare un paio di battute anche se non ricordo di chi, ora è quel cambio pagina che non mi viene mai cosa c’è dopo, adesso è il momento di dire quel monologo su quattro righe”. Credo che il difetto degli schermi consista nella loro “limitatezza” fisica, non potendo essi rappresentare (al contrario di un libro) un testo nella sua interezza, ma solo una piccola porzione alla volta. Insomma, forse un giorno il nostro cervello sarà un grado di leggere solo un testo “liquido”, ma fino ad allora, su certe applicazioni della parola scritta, non può ancora fare a meno della carta.
Lavorando nel campo dell’insegnamento delle lingue, non posso che confermare quanto è stato scritto. E aggiungo: nel nostro settore sono usciti ogni anno decine di corsi on-line, prima su CD, poi su piattaforma web. Tutto mirato a vendere un programma su computer che costa meno di un docente e che agli occhi del discente è “finalmente qualcosa di nuovo”. Della serie: ti do di meno, molto meno, e tu vedi più valore.
Questi corsi hanno scelto i titoli più illuminanti: “English now”, “Easy English”, e via dicendo. In realtà gli italiani parlavano malissimo l’inglese prima (poiché non hanno la pazienza, la volontà e la voglia di leggere, studiare, applicare) e lo parlano malissimo anche oggi. Al di là della tecnologia che sicuramente è di aiuto – e anche noi la usiamo, ci mancherebbe, per esempio nei test, nelle esercitazioni on-line il che permette di profilare centinaia di persone e di preparare una lezione personalizzata – il problema fondamentale è la capacità di concentrarsi che manca. La volontà di investire le energie intellettive manca e pur essendo più efficiente la lettura su carta e dimostrandolo, comunque nella testa “ribelle” dell’Italiano si crea la convinzione anarchica che non è così. Credetemi: l’italiano che si rivolge a un commercialista, resta l’esperto che obbliga il commercialista a fare come dice lui perché è lui l’esperto e non può essere “così come gli dice l’esperto”.
Figuriamoci convincerlo che è meglio essere severi e imporre un metodo pesante, grammaticale, di lettura tradizionale a costo di bocciare degli studenti. Il risultato? Noi lo vediamo all’università: gente che studia in facoltà e che non sa scrivere in Italiano senza errori di ortografia. Micidiale!
Bell’argomento, probabilmente col tempo queste memorie tattili verranno rimpiazzate da altri tipi di memorie.
Sono processi lunghi e difficili, sono ottimista per il digitale nelle scuole e nello studio. Come ho detto ogni processo di evoluzione richiede tempo e anche questo non fa eccezione.
Anch’io mi sento di confermare quanto scritto in questo post: pur non avendo riserve particolari per il digitale, quando arriva il momento di fare sul serio, trovo che sia meglio la carta. E soprattutto, è meglio evitare il multitasking. Il digitale è indubbiamente comodo, ma lo trovo molto stancante per la vista, e rimane sempre la sgradevole impressione di non essere riuscita ad afferrare appieno quanto ho appena letto.
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