Ecco, ho firmato anch’io la petizione #dilloinitaliano promossa da Annamaria Testa. La mia motivazione è questa: perché non riesco a scrivere “weekend”.
È vero: concludo le mie email, anche quelle informali, con “buon fine settimana”. Non uso mai parole come deadline, lunch, break, timeline, effort, location, appealing. Odio e censuro i calchi come ingaggio. Ma adoro una parola inglese come takeaway, nel senso di quello che ti porti a casa dopo aver letto o ascoltato qualcosa o qualcuno (ora comunque farò come Licia Corbolante e ricorrerò al non meno simpatico asporto). Però non riesco a rinunciare a parole come slide o call. Non mi ci vedo a dire a un cliente “preparerò una presentazione con diapositive” o “ci possiamo sentire in videoconferenza” e nemmeno “devo restituire il tesserino in portineria?”. Dico badge da quando lavoro e di primavere ne sono passate assai. Così come non riuscirei a usare riassunto o sintesi al posto di abstract. Anche perché non è la stessa cosa. Credo che alcune parole siano legate a un tempo e al tempo non possiamo far fare marcia indietro.
Insomma, la questione dell’inglese mi vede molto combattuta e mi regolo con il buon senso volta per volta. Il buon senso per me è soprattutto:
- non sembrare ridicola, fuori luogo e fuori tempo
- preferire la parola straniera quando è ampiamente condivisa in un determinato settore tecnico o specialistico
- usare le parole straniere quando arricchiscono un discorso, gli danno una sfumatura o un sapore particolare; non succede spesso, ma quando colgo quella sfumatura, non esito mai.
Ciao Luisa.
Grazie per aver firmato!
In realtà, Dilloinitaliano non censura (o propone di rinunciare ad) alcuna parola.
La petizione è costruita su due capisaldi:
– tutti noi, giorno per giorno e nel momento in cui parliamo, costruiamo e ricostruiamo la nostra lingua, che è un bene comune e ha un valore. Proprio come l’aria o il paesaggio. Potremmo rendercene conto.
– chi ha voce pubblica ha una responsabilità in più sul produrre discorsi comprensibili e dotati di senso e potrebbe, se vuole, metterci un zinzino in più di consapevolezza.
Questo, per tutti noi, significa usare l’inglese quando serve, e anche quando ci piace farlo.
Ma usarlo con consapevolezza del senso di quel che diciamo, e senza provocare collassi verbali del tipo “l’outfit oversize è out. Nella top ten, il glamour del look skinny che fa tanto bad girl” (e dire che la moda sarebbe un’eccellenza italiana nel mondo).
Significa anche (questa è una vecchia battaglia, che ti vede protagonista) invitare le pubbliche amministrazioni a spiegarsi chiaramente, senza velarsi dietro parole incomprensibili: l’incrocio perverso tra burocratese e itanglese sta davvero producendo mostri.
Mi ha scritto una delle persone che hanno firmato: “oggi ho riletto una mail prima di spedirla. Mi sono accorto che di italiano erano rimaste solo le congiunzioni”.
Ecco. Di questo stiamo parlando, tutti insieme.
Un abbraccio, a presto e ancora grazie!
Annamaria
Ovviamente ho firmato.
Poi, il 10 febbraio si annuncia il nuovo simbolo per Roma: Rome & you. Un restyling, ecco qui forse l’inglese ci vuole, perché mi pare che restauro o peggio miglioramento proprio non siano appropriati. Questo mi ha confermato la bontà dell’iniziativa di Annamaria.
Su NeU ho scritto quanto segue.
Roma NON è la capitale, è molto, ma molto di più.
Solo Alemanno poteva aggiungere CAPITALE!
Una città che il mondo ama e visita non è solo capitale.
Ha un logo antico che rappresenta la forza laica della città: SPQR (molti non ricordano neanche più che cosa significa), come contraltare dell’altra grande anima della città: la chiesa.
Ora, a parte questo assurdo scimmiottare la lingua inglese, che accidenti mi rappresenta questo logo?
I fascisti cavalcano il dissenso, ma c’era proprio bisogno di questo *_))
Ricordate il logo del sito istituzionale del turismo? “MAGIC ITALY”, per fortuna stroncato dalla rete.
http://www.corriere.it/politica/09_giugno_11/logo_magic_italy_berlusconi_brambilla_blog_80e998c6-567d-11de-82c8-00144f02aabc.shtml
Io adoro il termine “disturbing”, trovo che ogni corrispondente italiano non renda altrettanto bene 🙂
Ho firmato? Certo, anche io ho firmato, nonostante i miei problemi con le lingue in generale, a partire proprio dalla mia: la lingua italiana.
Non metto in discussione l’utilità e la presenza dei termini e delle lingue straniere, in alcuni settori si è quasi obbligati ad utilizzarli e comprenderli (questo vale anche per il linguaggio giovanile).
Metto in discussione il loro utilizzo, a volte inopportuno e spesso ingannevole.
Non credo che il “jobs act” sia migliore di una “riforma del lavoro”, speriamo che prima o poi “lassù” capiscano che i contenuti sono più importanti dei titoli, a partire da quelli personali …
io lo dico ogni tanto anche in … tedesco 😉
(vita da “expat”! ehm da espatriata. “Mein Gott”! ehm… dio mio!)
Tutto giusto, ma ho un’obiezione. I primi tempi, a Milano, quando dicevo “corriera” anziché bus, termine entrato anche nel mio vocabolario da quando sono bambina, mi ridevano tutti dietro, compresa la tutor (altra parola inglese) sessantenne del master a cui ero iscritta. Ma per me una cosa è il bus, o autobus; altra è la corriera, che per me va più lontano.
A volte è anche questione di distinguo e di appiattimento. Ormai mi sono arresa ma dico “navetta” (mi rifiuto di chiamare autobus un mezzo che faccia percorsi interurbani).
io dico “buona fine settimana…”