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risali negli anni

7 Dicembre 2014

Parlare e scrivere di arte, la cosa più concreta che ci sia

Parecchi anni fa comprai un libro tedesco nato da un’idea del famoso settimanale Die Zeit. In italiano il titolo suona più o meno I 100 quadri del museo della Zeit. Studiavo il tedesco da poco ed ero sempre alla ricerca di libri che fossero alla mia portata; in questo, ognuno dei cento capitoletti era di circa due o tre pagine e l’arte il mio principale oggetto di studio all’epoca.

L’idea era geniale e sarebbe stata ripresa più e più volte negli anni: cento scrittori, giornalisti, filosofi, politici o artisti erano invitati a parlare di un’opera d’arte che aveva segnato la loro vita. Susan Sontag scriveva di un interno di chiesa quattrocentesco, Arnaldo Pomodoro di una piccola opera di Klee, Emilio Vedova di Tintoretto, Fernando Botero di Paolo Uccello, lo scultore Christo di Giotto… l’ultimo era il nostro Umberto Eco che scriveva della prima pagina del medievale Book of Kells, conservato al Trinity College di Dublino.

Il libro mi affascinò perché ogni autore scriveva della sua opera del cuore con amore, emozione ma anche grandissima competenza. Umberto Eco raccontava di come per mesi fosse andato ogni giorno al Trinity College perché ogni giorno viene girata una pagina di quell’opera meravigliosa, paragonata alla vita che scorre. Quel piccolo saggio non l’ho mai dimenticato.

Ieri sono andata a riprendermi il libro dall’alto di uno scaffale. A ricordarmelo è stata l’iniziativa di Repubblica di affidare alla scrittrice Melania Mazzucco il racconto di un quadro in un liceo veneziano.

Melania Mazzucco non è una storica dell’arte, ma il suo racconto è appassionante, come testimoniano i tanti video in cui racconta le sue opere d’arte del cuore. Per esempio, le opere di Tintoretto:


Ora ha raccolto i suoi racconti nel libro Il museo del mondo, appena uscito presso Einaudi.

Negli ultimi tempi ho viaggiato molto per lavoro e quando sono in giro cerco sempre di ricavarmi tempo per un museo o una mostra. Quante volte ho pensato dentro di me “Togliete ai curatori apparati didattici, testi di pannelli e audioguide!!” Lo so che è un pensiero ingiusto, perché generalizza e ci sono anche curatori bravissimi a spiegare le opere e a emozionare il pubblico. Però quelli bravi sono troppo pochi.

La mostra di Segantini al Palazzo Reale di Milano è strepitosa, sicuramente una delle più belle che ho visto negli ultimi anni, ma sui pannelli trionfano periodi composti anche di 90-100 parole, assolutamente illeggibili per chiunque. I linguisti sono chiari: un periodo altamente leggibile in un testo informativo è fatto di 25-30 parole, non di più. Un pannello in corpo piccolo, con l’impaginazione giustificata e lo sfondo bordeaux, da leggere in piedi, deve forse averne ancora meno.

La mostra su Picasso a Palazzo Strozzi a Firenze è così così, ma potrebbe essere goduta di più se il testo dell’audioguida – che costa 5 euro – fosse stato concepito appunto per l’ascolto e non come un libro stampato. Per chi è davanti a quella cosa concretissima che è un quadro, parole astratte come poetica e e primitivismo non dicono niente.

Per audioguide e app, il modello libro e il modello catalogo bisogna dimenticarlo, e per sempre. Eppure di storytelling eccellente per i musei e le opere d’arte ne abbiamo a bizzeffe: Melania Mazzucco, Philippe Daverio, quel successo mondiale che sono i 100 oggetti del British Museum, l’app della National Gallery di Londra Love Art, una meraviglia a 2,69 euro che metti in cuffia e ascolti il curatore che sembra lì a raccontare solo per te. A “raccontare”, non a leggere. E “sembra”, perché ascoltando capisci che lavoro raffinato di sceneggiatura e di studio ci sia dietro tanta leggerezza e naturalezza.

Un paio di giorni fa Massimo Mantellini sul Post ha dedicato uno splendido pezzo a questa fotografia:

Può essere il Rijksmuseum ad Amsterdam, la National Gallery a Londra o gli Uffizi a Firenze, ma è esattamente questo che dobbiamo augurarci di vedere nei musei nei prossimi anni: ragazzi concentrati su una bella app, che avranno scaricato prima, a casa, per poi leggere, ascoltare, vedere, e moltiplicare le emozioni che solo l’opera d’arte dal vivo può regalarti.

La settimana che si chiude è stata anche quella del BTO, l’evento dedicato alle potenzialità che le tecnologie offrono al turismo e alla valorizzazione del nostro patrimonio culturale. Sono solo riuscita a sbirciare cose interessantissime, ma nei prossimi giorni vale davvero la pena di seguire gli interventi appena saranno online. Credo sarà l’ennesima conferma di quali ricchezze non solo culturali ma professionali e umane ci siano in questo paese, se solo riuscissimo a farle circolare.

Eh sì, non manchiamo solo di mobilità sociale, ma anche professionale. La rete ci fa scoprire talenti, ma a che serve se poi restano lì? A Palermo c’è una professoressa di storia dell’arte che si chiama Emanuela Pulvirenti. Non la conosco, ma ad ogni post mi incanta e mi fa invidiare i suoi studenti. Emanuela ogni giorno ha le sue classi davanti e si confronta con cose concrete: domande, sguardi, opere, materiali.  Quella concretezza evidentemente la aiuta a ideare i suoi post sul colore, inaugurati da un attacco esplosivo:

Che succede quando un rosso si imbatte in un verde? Beh, più che un incontro sarà uno scontro! Uno dei più feroci che si possano vedere dentro un quadro.

O a coinvolgere su un tema specialistico come i taccuini degli artisti:

Cosa c’è dietro un’opera d’arte? È una domanda che mi sono posta molte volte. Un dipinto, una scultura, un qualsiasi manufatto artistico, anche se prodotto rapidamente e, apparentemente, di getto, nasconde dietro uno studio, un’osservazione della realtà, un’elaborazione concettuale.

Per non parlare dei suoi post sui lampioni o sulle nuvole… e delle altre storie meravigliose di Didatticarte.

Insomma, non si potrebbe prendere la professoressa Pulvirenti e farle fare un bel corso ai curatori più verbosi e astratti? Non sono forse tutti dipendenti dello stato italiano?

Concretezza, emozione, storie, arte, immagini e parole: queste cose ci sono tutte in un bel video che risponde a una delle domande apparentemente più astratte che ci siano: A che serve l’arte? Lo hanno realizzato in quella scuola di storytelling che è The School of life, ideata dallo scrittore Alain de Botton (i video sono uno più bello dell’altro).


L’arte è una cosa concreta, no? Forse la più concreta che ci sia. Non merita parole astratte e lontane dalla vita. Né periodi che non finiscono mai. Né storiadellartese.

Su questo blog leggi anche:

Il museo usabile, senza cartellini né cartelloni

L’uomo che fa parlare gli oggetti

Le parole di Magritte e quelle del suo museo

gli oltre 136 post sull’arte

8 risposte a “Parlare e scrivere di arte, la cosa più concreta che ci sia”

    • Appena letto il titolo di questo post ho pensato a Didatticarte e a come te lo avrei segnalato nei commenti. Ma tu sei, ovviamente, sempre un passo più avanti!

      Io propongo un corso congiunto Carrada + Pulvirenti sul come e cosa scrivere per i musei italiani. Credo che sarebbero in molti (curatori e pubblico) a trarne tanti, importanti benefici.

  1. […] Con una storia (The Story of Stuff), l’attivista Anne Leonard può spiegare a più di venti milioni di persone i concretissimi problemi del consumismo. E le distillerie che producono Johnnie Walker costruiscono un’epica del brand che vi rimarrà piantata in testa per sempre raccontandovi, con oltre cinque minuti di meraviglioso piano sequenza, la storia dell’uomo che cammina. Ma la narrazione continua, e promette oggi una prossima puntata: una storia costruita sul vincere una scommessa raccontando una storia. Staremo a vedere. Dell’importanza di raccontare storie per avvicinare le persone alle arti visive (e dell’incapacità di molti curatori di musei di riuscirci) parla un bellissimo post di Luisa Carrada. […]

  2. Luisa, non so davvero come ringraziarti per l’apprezzamento verso il mio lavoro!
    La mia palestra sono proprio i miei ragazzi di un piccolo liceo scientifico di provincia, al centro della Sicilia: curiosi, vivaci ma anche, spesso, demotivati e svogliati.
    Inventare nuovi modi per comunicare la storia dell’arte e fare appassionare è stata questione di sopravvivenza… e, come si dice, ho fatto di necessità virtù! 😀

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