Dieci cose che non bisogna vergognarsi di dire (o di scrivere) in italiano
- «Credo che hai torto» (invece di «Credo che tu abbia torto»). Perché il congiuntivo è sacro, ma non alla seconda persona singolare. E perché chi crede davvero in qualcosa deve usare l’indicativo.
- «Io e Antonio» (invece di «Io ed Antonio»). Perché la “d” eufonica si scrive solo quando si pronuncia.
- «A me mi». (invece di «a me» o «mi»). Perché a Roma lo dicono senza problemi. E perché, trattandosi della combinazione di un pronome tonico e di uno atono, non può essere considerata una vera ripetizione.
- «Gli ho detto» (invece di «ho detto loro»). Perché loro è l’unico pronome dativo a essere dotato di accento proprio, a non potersi combinare con altri pronomi («me lo», «te lo», «glielo», ecc.; ma non «ho dato loro lo»), a non potersi allacciare a un infinito verbale, e a essere impiegato, salvo rarissime eccezioni, dopo il verbo. Perché insomma, gli è molto più comodo.
- «Lui rispose» (invece di «egli rispose»). Perché lui è un pronome molto più duttile e molto meno impegnativo di egli.
- «Non c’è niente che ho bisogno» (invece di «non c’è niente di cui ho bisogno»). Perché nel che polivalente prima o poi ci caschiamo tutti, mica solo Jovanotti.
- «Sé stesso» (invece di «se stesso»). Perché «se stesso» è l’eccezione («il pronome sé si scrive sempre accentato tranne quando precede stesso») di un’altra eccezione («i monosillabi in italiano non sono mai accentati, salvo alcuni omografi»). Dunque, è una colossale sciocchezza.
- «La maggior parte dei miei amici sono stranieri» (invece di «la maggior parte dei miei amici è straniera»). Perché in certi casi nulla ha più senso della concordanza a senso.
- «Ha nevicato» (invece di «è nevicato»). Perché sulla meteorologia è impossibile mettere tutti d’accordo.
- «Qual’è» (invece di «qual è»). Perché l’ortografia non è tutto. E perché pur sapendo benissimo che è sbagliato, quando sono sovrappensiero lo scrivo così anch’io (come dov’è, cos’è, quand’è).
Questo decalogo semiserio è stato scritto da un linguista serissimo, Andrea De Benedetti, autore del bel libro Val più la pratica, in occasione della Giornata proGrammatica 2013, un’iniziativa della trasmissione La lingua batte di Radio3, condotta da Giuseppe Antonelli. Vi collabora il Miur e la sostengono l’Accademia della Crusca e l’Associazione per la Storia della Lingua Italiana.
Il tema del 2014 è dei più gustosi: la punteggiatura.
Grazie Luisa!
🙂 ← anche questa è punteggiatura? Se ne discuterà a scuola.
Grazie,
io adotto il punto e virgola! Un post interessante e hai procurato un nuovo ascoltatore alla trasmissione radio 🙂
Avrei voluto adottarlo io il punto e virgola.
🙂
10 regole sconvolgenti e rivoluzionarie – potrebbero piacermi.
Solo su un punto avanzerei una ulteriore distinzione: per la ‘d’ eufonica mi è stato insegnato che va pronunciata e utilizzata non in presenza di due vocali qualsiasi, ma solo per ‘separare’ le ripetizioni della stessa vocale.
quindi: “Ad Antonio”, sì, mentre “Ad Eugenio”, no.
E viceversa: “io e Antonio” è corretto, mentre “io e Eugenio” scricchiola.
Che ve ne pare?
Non sono convinto del punto 1. Se io credo qualcosa, non significa che risponda a verità. In quel caso torto o ragione sono soggettivi e non oggettivi.
3: beh, no, quello è un errore e sta bene nel linguaggio parlato. In un romanzo, a meno che non sia un dialogo, non mi piacerebbe davvero leggere “a me mi” o simili. Chiuderei il libro.
6: anche questa non mi pare corretta. Il fatto che ci caschino tutti non significa che dobbiamo assimilarci tutti o abbassare il nostro livello culturale se la massa parla e scrive male.
8: idem. sarà pure concordanza a senso, ma il soggetto singolare vuole il verbo al singolare. Se proprio non piace la frase corretta, si può sempre cambiare in “quasi tutti i miei amici sono stranieri”.
9: il verbo avere è più corretto. I Romani non credevano a Iuppiter Pluvius? Quindi quando diciamo che “piove”, in realtà diciamo che Giove è piovuto.
10: puoi anche scriverlo con l’apostrofo, ma resta di fatto un errore 🙂
L’importante è che non si presenti un testo con un errore del genere.
Sono in accordo con i commenti di Daniele. Anche io penso che non sia giusto introdurre forme, secondo me sgrammaticate, solo perchè sono entrate nell’uso corrente..anche io, se leggessi “a me mi” oppure “il gruppo di persone si dirigevano” chiuderei il libro.
Grazie per la vostra attenzione. Anna
La lingua si evolve, e gli errori ripetuti e ingranati, dal parlato allo scritto, vengono continuamente assimilati nelle ‘regole’.
Per il mio gusto personale sono d’accordo con Daniele anche io: non mi metterò a scrivere sgrammaticato intenzionalmente, e correggerò queste brutture ogni volta che mi dovessero scivolare dalla penna (o dalla tastiera).
D’altra parte bisogna accettare che la lingua non è una astrazione immutabile, e poco alla volta tende inevitabilmente al mutamento e alla semplificazione.
Decaloghi di questo tipo non meritano la nostra attenzione. Guai a sentirci obbligati a sbagliare solo per mostrarci aggiornati; la lingua si evolve naturalmente, senza chiedere il permesso ai linguisti.
Giusto, la lingua evolve naturalmente senza chiedere permesso ai linguisti, che infatti non impongono modelli a nessuno, ma si limitano a registrare l’evoluzione del parlato e dello scritto. Quando due forme convivono non c’è quella giusta e quella errata. Di solito i puristi pensano invece che ci sia una sola forma giusta: la loro. Poi scopro sempre che i puristi non fanno di professione i linguisti, no, fanno i ragionieri, i geometri, gli insegnanti, i giornalisti… se dava retta ai puristi Dante, la Divina Commedia non la scriveva, né Manzoni I promessi sposi…