
Come tutti, ho visto le incisioni di Maurits Cornelis Escher innumerevoli volte su libri, mug, manifesti e magliette ma l’originale è un’altra cosa, anche per un artista che si è espresso quasi sempre con il solo bianco e nero.
Alla mostra di Roma al Chiostro del Bramante quelle geometriche metamorfosi, quegli spazi impossibili, quei poetici giochi matematici ci sono tutti, espressi con una tale naturale precisione, una rigorosa morbidezza, da ricordare le incisioni più belle di Dürer.
Dalla bidimensionalità della carta il tratto sottile prende vita, diventa volume, si copre di ombre e viene verso di noi: le mani che disegnano, nella loro semplicità, ti attirano come un mistero e ti avvolgono come una ghirlanda.
A me, sono sembrate l’emblema delle nostre scritture contemporanee: non c’è più solo la carta, non c’è più solo il digitale, né solo testi brevi, né solo testi lunghi, né solo parola, né solo immagine, ma un flusso continuo in cui trascorriamo, e trascorrendo cambiamo e impariamo.
Ma oltre le nostre scritture ibride Escher disegnava l’infinito.
Il desiderio di visitare la mostra è forte. Speriamo.