Questo è proprio un post di impulso, che è cresciuto da sé mentre leggevo l’ultimo di Giuseppe Granieri, dedicato a Quello che noi blogger sbagliamo (e anche i giornalisti). Granieri ha ragione in tutto e mi sono perfettamente riconosciuta nella blogger che predica bene (speriamo!), ma razzola male (di sicuro!).
Link e dati alla mano, GG ci ricorda che se vogliamo farci leggere – almeno un po’ – non dobbiamo trascurare qualche regoletta che ormai dovremmo conoscere a memoria:
1. Il titolo è tutto
Anzi, meglio due: uno per Google, uno per i social.
2. Cavolo, non è un libro!
Quindi: paragrafi brevi, titoletti, corpo del carattere di grandezza decente.
3. Takeway (se non sai cos’è, guarda qui come li scrive un vero maestro)
Fai subito capire al lettore cosa si porterà a casa.
4. Immagine
È come un titolo che funziona.
Su queste cose ho sproloquiato in abbondanza anche io, anche se i miei titoli sono misteriosetti, i paragrafi lunghetti, il takeaway assente, l’immagine qualche volta c’è e qualcuna no. I motivi, però, li conosco benissimo e si riassumono nel fatto che qui – non nel sito di un cliente, ma nel mio personalissimo blog – di abbassare del tutto l’asticella, di spalancare il cancello, di rinunciare a ogni piccola sfida… non mi va!
Mi va, invece, che il titolo contenga anche qualche ambiguità e qualche ombra, che il proprio personale take away ognuno se lo scopra da sé, così come mi piace disseminare quello che forse sarà ritwittato all’interno del corpo del post invece di suggerire io un tweet this! Si perde forse qualche lettore, ma si capisce meglio cosa apprezzano, cosa li colpisce, cosa hai scritto meglio, cosa peggio.
Mi va, soprattutto, di scommettere che chi leggerà fino in fondo lo farà non attirato da frasette cortissime (io ormai li chiamo i “testi sbrindellati”, che tra l’altro trovo faticosissimi da leggere), ma irretito dal ritmo, dal suono, dalla staffetta tra le frasi, in cui ognuna consegna all’altra qualcosa, così che il lettore non possa fare altro che andare avanti.
Mi va, infine, di continuare ad allenarmi su testi che facciano onore alla loro etimologia, testi “tessuti”, anche se i post non sono un rotolo di stoffa o una coperta, ma solo dei piccoli campioncini, degli “imparaticci” si diceva una volta. Se non ci lavori un po’ tutti i giorni perdi la mano, e come fai poi quando arriva il momento – perché arrivare arriva – in cui ti chiedono di realizzare un complicatissimo tessuto?
Esatta-mente!